Durante le mie vacanze estive brevi e anomale (solo cinque settimane, e a 40 gradi all’ombra), ho avuto modo di notare, io che ho provato diversi mezzi di trasporto nella vita (come tutti), che avere una macchina a disposizione è una gran comodità, perché non mi lega ad orari di partenza e di rientro o alle sole località ben collegate, e fin qui so per certo di non aver detto nulla di nuovo; eppure avere una macchina a disposizione ha un lato negativo non indifferente: arrivare in una città, trovare il parcheggio più comodo (e possibilmente gratuito), lasciare lì la macchina (possibilmente all’ombra), e incamminarmi verso il centro cittadino, non è affatto romantico. Infatti, la visita alla scoperta di una città ricca di storia e fascino per il solo fatto di esistere e di essere diversa da quella in cui sono cresciuta (che oltretutto è un paese, non una città), non può banalmente partire da un parcheggio alle porte della ZTL: il vero punto di partenza originario storico e romantico per la visita di una città è la stazione ferroviaria.
Sicuramente voi arriverete a Berlino in aereo, e al momento l’aeroporto più gettonato è Berlin-Schönefeld, che si trova più o meno a sud-est della città. Appena atterrati, da lì dovete uscire (fate prima pipì), percorrere la passeggiata coperta sino all’imbocco del sottopassaggio, e tramite questo raggiungere la stazione della S-Bahn; fatevi il biglietto e prendete la S9 fino alla stazione di Jannowitzbrücke, ma non scendete dal treno! Semplicemente godetevi il viaggio da Jannowitzbrücke fino alla stazione di Hackescher Markt (due stazioni dopo) consapevoli di star seduti esattamente sul percorso seguito da uno dei muri di Berlino.
Nonostante la fama mondiale dell’ultimo muro, quello normalmente scritto con l’iniziale maiuscola che oppresse i berlinesi dal 1961 al 1989, infatti, Berlino di muri ne ha conosciuti ben quattro, di cui solo tre hanno lasciato tracce. Il tracciato della S-Bahn da Jannowitzbrücke a Hackescher Markt (in verde sulla carta) segue quello di un profondo fossato, largo trenta metri e affiancato da due alti muri, che costituiva la costruzione difensiva più massiccia della storia di Berlino: in totale raggiungeva 80 metri di larghezza, ed era rafforzata da ben tredici bastioni, nonostante all’epoca (il XVII secolo), Berlino occupasse nemmeno cento ettari di territorio. Dal 1734 è iniziata la demolizione dei muri che la costituivano, ma nel 1900 si è scoperto che questa demolizione era stata solo superficiale: quando vennero avviati i lavori di costruzione della stazione metropolitana in Hausvogteiplatz, dove un tempo sorgeva uno dei bastioni, gli operai si trovarono a combattere contro le sue massicce fondamenta che erano ancora lì. Le uniche tracce di questa antica cinta muraria sono nei nomi delle strade (quelli che contengono le parole “Festungsgraben” o “Wall”, cioè “fossato della fortezza” e “mura”), o nella forma delle piazze e dei parchi che hanno preso il posto dei bastioni (Hausvogteiplatz, ma anche il Köllnische Park).
Visto che siamo in Hackescher Markt possiamo fare un passeggiata fino al carinissimo parco di Monbijou che si trova tra Monbijou Platz a est, Monbijou Strasse a nord-ovest, e a sud il fiume Sprea che in questo punto è attraversato, guarda caso, dal ponte di Monbijou; questo parco è una delle mete preferite dai berlinesi per una breve pausa dalla frenesia della metropoli, e appena arrivati anche a voi verrà voglia di riposarvi. Sappiate però che pochissimi dei vostri compagni di pisolino al Monbijou sanno che qui un tempo c’era un castello: ultimato nel 1709 su richiesta di un certo Wartenberg, ministro del re prussiano Federico I, si estendeva su solo 400 metri quadri di superficie, era pertanto molto piccolo. Successivamente divenne residenza della principessa reale Sophie Dorothea e ampliato fino a raggiungere dieci volte la lunghezza originaria. Da metà del XIX secolo, una parte del castello venne adibita a sala espositiva, ma ufficialmente (e per intero) il castello vene destinato al museo degli Hohenzollern solo dal 1877, quando venne costruito il viadotto su cui oggi passa la S-Bahn (con la quale siete arrivati sin qui), per soddisfare il desiderio dell’imperatore Guglielmo di celebrare la sua dinastia dalla fondazione del regno in poi. Con la seconda guerra mondiale iniziò la fine inesorabile del castello di Monbijou: venne danneggiato dai bombardamenti del 1943, poi nel 1958 il governo di Berlino Est ne decise la chiusura, benché non fosse così malridotto da non poter essere ricostruito, e nonostante le proteste dei cittadini, perché semplicemente un castello prussiano non era in linea con l’ideologia sovietica; i pochi oggetti della collezione degli Hohenzollern trovarono allora collocazioni sparse in altre esposizioni, e oggi è possibile ammirarla per intero solo attraverso le foto dell’esposizione che erano state scattate al Monbijou tra il 1930 e il 1940 (e ora destinate ad arricchire il museo prussiano che verrà allestito nel parco del castello di Charlottenburg). In realtà, già prima della guerra, un progetto del 1940-41 di Albert Speer, l’architetto di Hitler, prevedeva di smontare pietra per pietra il castello di Monbijou per lasciare spazio a tre musei al passo con l’ideologia nazista, e ricostruirlo nel parco del castello di Charlottemburg, ma non se ne fece nulla. Dopo la demolizione negli anni Sessanta, di Monbijou a Berlino è rimasto solo il nome.
Nel quartiere di Charlottenburg (a ovest di Berlino, oltre Tiergarten, raggiungibile con la S9) si trovava uno dei due uffici postali principali della Rohrpost, ma non è necessario che andiate sin lì, perché l’altro era poco più in là del Monbijou Park, in Oranienburger Strasse. In realtà non c’è più nulla da vedere, però la storia di questo particolare servizio postale è interessante, quindi mentre camminate ve la racconto: si trattava di spedizioni sotterranee, attraverso tubi (“Rohr”) in cui le missive, contenute in speciali cartucce, venivano sparate fino a destinazione attraverso un gioco pneumatico di pressione e aspirazione d’aria alla velocità di 15 metri al secondo, le più veloci in Europa. Questo metodo di comunicazione cittadino era infatti già presente a Londra dal 1853, ma fu la rete berlinese, che rimase attiva dal 1865 al 1976, a fornire il modello per altre capitali europee: l’ultima rete di tubi postali fu quella smantellata a Parigi nel 1984. In totale a Berlino esistevano 94 uffici postali adibiti al servizio della Rohrpost, e nella sua maggiore espansione (nel 1938) la rete era costituita da 250 km di tubi che attraversavano tutta la città; c’era inoltre una seconda rete che fungeva da canale di comunicazione fra le varie sedi governative. Il tempo di consegna della posta andava da un minimo di 20 minuti ad un massimo di un’ora nel suo tratto più lungo: in dieci minuti veniva coperta la tratta fra i due uffici postali principali che vi ho nominato, la stessa distanza coperta da corrieri in bicicletta richiede oggi non meno di 45 minuti. Come tante cose a Berlino, anche la rete di tubi postali venne danneggiata dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale (nel 1945 tre quarti degli uffici postali vennero chiusi), e subì passivamente la divisione della città e il blocco sovietico, pur rimanendo attiva in entrambe le parti: a Berlino Ovest però la rete venne addirittura ampliata fino a raggiungere 192 km di tubi, successivamente venne pianificata la loro chiusura, che avvenne nel 1970, mentre a Berlino Est il servizio rimase attivo ancora per sei anni. Gran parte di questi tubi sono ancora al loro posto, spuntano fuori ad ogni lavoro di manutenzione stradale, dato che si trovano a solo un metro di profondità, ma in tutti questi anni di abbandono sono così malridotti che sarebbe troppo costoso riattivare il servizio; è stato calcolato che al giorno d’oggi una spedizione tramite Rohrpostbomben (così erano chiamati amichevolmente i barattoli che contenevano la posta) costerebbe agli utenti da 3 a 6 euro, contro i 12 per un corriere in bicicletta: prima della prima guerra mondiale il servizio costava 30 centesimi, nel 1950 un marco.
Proseguendo lungo Oranienburger Strasse si arriva a Hannoversche Strasse dove si trova, integrato in un anonimo edificio anni Novanta, un tratto del terzo muro di Berlino, eppure nessuno degli abitanti dell’edificio saprebbe dire perché al piano terra non ci sono finestre o altre aperture oltre le due porte in vetro rinforzato dell’ingresso. Questo antico muro di Berlino (come il più recente) aveva il compito di tenere all’interno i berlinesi e non fuori gli estranei come i normali muri difensivi: si tratta dell’Akzisemauer, il muro dell’accisa, il cui nome tradiva la sua funzione ufficiale di delimitare l’area della città nella quale le merci potevano entrare solo pagando un dazio. Venne fatto erigere da Federico Guglielmo I tra il 1734 e il 1737 al posto della fortezza precedente, era alto ben 4 metri e 20 (60 cm in più rispetto al più famoso Muro), lungo 14 km e mezzo, e aveva 18 porte, che erano i punti di controllo delle merci in entrata e di riscossione del dazio. Il suo secondo, meno ufficiale compito era quello di impedire diserzioni dall’esercito di Federico Guglielmo, re famoso per la rigorosità della sua disciplina militare anche fuori dall’esercito, figuratevi al suo interno, per questo non erano infrequenti fughe di soldati dalla città. Un centinaio di metri di questo muro sono conservati anche in Friedenstrasse, nel quartiere di Friedrichshain, si tratta del muro di cinta del cimitero; invece una copia di dodici metri è stata fatta costruire nel 1987 sulle fondamenta originali del muro dell’accisa in Stresemannstrasse (foto qua sopra). Per il resto non è rimasta traccia di questa antica costruzione, né del suo corso, al di fuori dei nomi delle strade: in generale quando in un indirizzo di Berlino è contenuta la parola “Tor” questa fa sempre riferimento all’antica porta dell’Akzisemauer, l’unica delle quali ancora perfettamente conservata è la famosa Porta di Brandeburgo (dalla quale, ormai l’avrete capito, la città si estendeva verso est).
A questo punto, anziché borbottare perché dopo un inizio in grande stile sulla S-Bahn, vi sto facendo proseguite a piedi, camminate fino a Invalidenstrasse e lì girate a sinistra e percorretela, cammina cammina arriverete all’Humboldthafen, un porto alla confluenza tra lo Spandauerkanal e il fiume Sprea, che nel 1961 era attivo. Qui non ci sono tracce di mura berlinesi, eppure il Muro del blocco sovietico passava proprio qui (la linea tratteggiata marrone chiaro sulla carta): una sponda e l’acqua erano a Berlino Est, mentre l’altra sponda era di Berlino Ovest. Un porto, con alle spalle un’area di carico e scarico, a Günter Litfin sembrava una zona sicura; lui era un berlinese dell’est che, visto il clima dittatoriale che aleggiava negli anni dopo la seconda guerra mondiale nel settore di Berlino posto sotto il controllo sovietico, aveva deciso di trasferirsi a Berlino Ovest, trasferimento già all’inizio del 1961 non facile. Lui però aveva programmato tutto: si era registrato a Berlino Ovest, aveva trovato una casa a Charlottenburg, dove lavorava, e aspettava solo i documenti necessari, ossia una carta d’identità che comprendesse il permesso di spostarsi senza restrizioni verso Berlino Ovest. Ogni sera per tornare a casa doveva riattraversare il confine tra le due città (fino ad allora visibile solo sulla carta, ma già presidiato), proprio per questo sapeva che i soldati di guardia non sempre erano condiscendenti e che spesso i controlli si irrigidivano, opprimendo improvvisamente i pendolari con raffiche di domande sospettose e accusatrici.
Alle 3 e 30 del mattino del 13 agosto 1961, però, cominciarono a circolare le prime voci ufficiali di strani movimenti della polizia di regime della DDR: srotolava filo spinato lungo tutto il confine, che passava lungo le strade o a ridosso delle case, e tagliava in due stazioni della metro e linee ferroviarie e tramviarie; a partire da allora i soldati impedirono totalmente il passaggio a tutti i berlinesi dell’est verso Berlino Ovest, isolando definitivamente i tre settori occidentali di Berlino dal resto della Germania Est. Nei giorni successivi il filo spinato venne sostituito da un muro di cemento alto (inizialmente) due metri, a conferma che non si trattava di una disposizione temporanea come altre volte era capitato: Berlino Ovest era definitivamente una zona vietata. Günter Litfin (come molti altri berlinesi dell’est che lavoravano a Berlino Ovest) non poteva più recarsi al lavoro e, sempre più deciso a fuggire da Berlino Est, si rese conto che il metodo scelto sarebbe stato in ogni caso illegale; fra le varie opzioni di fuga individuò l’attraversamento a nuoto dell’Humboldthafen.
Il 24 agosto, a undici giorni dalla chiusura del confine, Günter non tornò a casa, ma la sua morte venne comunicata a suo fratello solo due giorni dopo. Il resoconto dell’accaduto, su un rapporto segreto del 31 agosto, diceva che due poliziotti della Transportpolizei videro Günter “cercare di violare il confine” in un punto tra i binari (in verde e in rosso sulla carta) e l’Humboldthafen, e che gli intimarono di fermarsi, ma lui li ignorò buttandosi in acqua; dopo alcuni spari di avvertimento (ignorati), fecero partire una raffica per sbarrargli la via verso la sponda ovest, ma inutilmente, e a quel punto presero la mira per colpirlo. Günter fu così la prima vittima del nuovo ordine di far fuoco su chiunque tentasse di oltrepassare il confine verso Berlino Ovest.
Bene, dopo questa triste storia, siccome vi vedo un po’ affaticati, vi consento di attraversare il ponte sulla Sprea e raggiungere quel Biergarten che vedete là in fondo, oltre il ponte, sulla destra. Fate merenda, non ubriacatevi (scherzo), ci ritroviamo in Platz der Republik fra un’ora, intesi? Sì, quella di fronte al Bundestag, che ho evidenziato di giallo nella carta. A dopo con: Ortstermin: Mitte di Sven Felix Kellerhoff (Mitte è un quartiere).
1 commento:
Bellissimo post e bellissimo il nuovo look del tuo blog.Ciao e infinitamente grazie :)
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