mercoledì 5 settembre 2012

È terribile, terribile: tutti siamo potenziali creativi


Uno degli argomenti di cui leggo da un anno a questa parte è la programmazione neuro-linguistica o PNL o, se siete americanisti convinti, NLP, perché quelli usano sempre determinante più determinato, noi italiani invece di regola determinato più determinante, cioè prima il nome poi l’aggettivo, perché le regole dell’italiano sono diverse, anche se a volte dalle traduzioni non si direbbe (fugace riferimento a dettagli della traduzione di questo libro). L’ultimo libro che ho letto sull’argomento non ha, incredibilmente, “PNL” nel titolo, ma questa assenza non è stata determinante della mia scelta, determinata comunque solo dal titolo e non anche dalle promesse di contenuto esposte in seconda di copertina in perfetto stile americano (“prezioso manuale” sa di slogan o sbaglio?), stile che il più delle volte mi stimola sguardo indifferente e voce spenta che risponde “sì, e allora?” Il titolo del libro è Pensiero creativo, e non poteva che affascinarmi, perciò ho iniziato a leggerlo...
...e a sottolineare tutte le cose che sapevo già, come a ricordarmi che io ci sono e ci faccio contemporaneamente e precedentemente rispetto agli americani che si fanno pagare oro argento e mirra per le loro perle di saggezza. L’importante è crederci, lo suggerisce anche questo libro.
Il contenuto è illuminante e ripetitivo allo stesso tempo: ognuno di noi ha un lato creativo, solo che non sempre ne siamo consapevoli né, conseguentemente, lo sfruttiamo, l’autore perciò offre esercizi utili per aprire la propria mente a forme di pensiero e ad attività pratiche quotidiane per sviluppare questo nostro lato nascosto, tecniche che per i creativi consapevoli sono per lo più inconsapevoli e spontanee. Io ad esempio ho avuto conferma di avere una mente creativa, incompresa dal prossimo per lo più, e sfruttata al minimo da me stessa incurante di possedere una risorsa, o almeno così sembrerebbe dal momento che non ho mai applicato la mia creatività per far carriera in una multinazionale americana (seguono esempi di multinazionali famose che hanno fatto il salto dalla bottega all’angolo alla diffusione capillare sul pianeta Terra del loro marchio grazie a intuizioni creative), bensì alla quotidianità di una semplice casalinga, e pure scazzata.
 

La tecnica di base è questa: per aprire la mente bisogna convincersi di avere la mente già aperta, fingere insomma di averla apertissima e comportarsi di conseguenza, cioè avere idee, atteggiamento tipico di chi ha la mente aperta, e chi se ne frega se non sono buone idee. Più idee si hanno, più la mente si abitua ad essere una fonte instancabile di idee, la qualità verrà poi, come quando vogliamo imparare a ballare (e volerlo è importante), ma siamo convinti, e le prime prove sembrano dimostrarlo, di essere dei tronchi calzati e vestiti, eppure col tempo e con l’esercizio il corpo si abitua ai movimenti, così anche la mente ha bisogno di allenarsi ad avere idee geniali, prima zoppicante poi sempre più spontanea, intuitiva, e creativa, appunto. Esercitarsi sugli stessi passi di danza ha l’equivalente mentale nel ripetere gli stessi metodi di pensiero creativo finché non ci divengono abituali: il libro ne offre un’infinità e si basano tutti sulla percezione di ciò che ci circonda, invita infatti di volta in volta a cercare, di un problema da risolvere, il corrispondente parallelo o quello assurdo, la versione macabra e la versione semplice, l’aspetto convenzionale e quello fuori dagli schemi; invita a fare associazioni fra il problema e un oggetto o una parola che col problema non c’entra nulla (seguono liste di parole da cui partire), o a chiedere il parere di bambini o di persone che si occupano di tutt’altro, perché un punto di vista esterno al problema, in qualche modo “innocente”, è sempre un passo in più verso una soluzione che, spesso, non è quella che vedevamo noi, e anzi a prima vista è abbastanza sconclusionata; o ancora consiglia di pensare per metafore o semplicemente di cambiare punto di vista: “puoi lamentarti perché le rose hanno le spine oppure gioire del fatto che le spine hanno le rose”. Si tratta di esercizi per la mente, gli “allenamente” appunto, che ci stimolano ad usare la mente per pensare fuori dagli schemi, perché andare oltre non è necessariamente sinonimo di “proseguire dritto” ma può essere anche un andare avanti passando da fuori lateralmente.
Una delle tecniche che mi è piaciuta di più si basa banalmente su una peculiarità della mente umana: talvolta, quando vogliamo ricordarci un nome o un titolo, dopo esserci scervellati per un po’ lasciamo perdere sconfitti, perché proprio non ci viene in mente (io ad esempio in questi casi mi ricordo solo con quale lettera inizia la parola che mi voglio ricordare, ma la parola proprio non mi viene, a volte non ce l’ho nemmeno sulla punta della lingua, ho un vuoto mnemonico totale); poi all’improvviso quella parola ci torna in mente quando ormai (consciamente) non ci pensavamo più, perché l’inconscio aveva conservato memoria della domanda e lavorato a nostra insaputa per rispondere. La nostra mente funziona così, ed essere creativi significa anche sfruttare le nostre funzionalità congenite: la tecnica consiste semplicemente nel pensare intensamente al problema, dare alla mente le coordinate e i dettagli (quindi pensarci non vagamente, scocciati, o sconfortati), ma senza insistere nel voler risolvere subito, perché accanirsi non giova: ad un certo punto conviene dedicarsi ad altro e lasciare che la mente lavori a livello inconscio; quando la nostra mente (la parte conscia) è rilassata perché abbiamo smesso di assillarla col problema da risolvere, l’inconscio ci fornirà la soluzione creativa che cercavamo.

Il libro, a leggerlo dall’inizio alla fine come ho fatto io, è noioso e ripetitivo, infatti io non ho seguito il consiglio dell’autore di attingere di volta in volta da un esercizio diverso, dato che un problema specifico da risolvere non ce l’ho (e sospetto che pensarlo equivalga ad avere una mente chiusa, ma ci mancherebbe che usassi il pensiero creativo per crearmi problemi che non ho, in modo da poter avere qualcosa da risolvere grazie al pensiero creativo!); nella seconda parte soprattutto riprende le stesse nozioni, e talvolta con le stesse parole, perché applica gli stessi metodi alla ricerca di una soluzione per i problemi in azienda in concerto con i propri colleghi, secondo il metodo di “brainstorming” in base al quale ognuno contribuisce all’idea finale con proprie idee da cui prendere spunto (non si butta via nulla). Siccome non ho un gruppo di colleghi con cui lavorare, e siccome di tutti gli esercizi proposti penso che solo alcuni non farebbero sentire i membri del gruppo come dementi in casa di risposo, (quindi non perché non credo nella collaborazione) ho letto quest’ultima parte solo per completezza, ma ciò che per me è più interessante è nella prima, dove ogni tecnica, suggerimento, ed esempio è riferita al singolo, anche se spesso, come ho detto, ho solo letto con parole precise e appropriate di cose che io sapevo già senza saperlo (spiegare).

D’altronde lo sanno tutti che la soluzione è dentro di noi e che l’esercizio è importante e che non si smette mai di imparare e che le cose belle non per forza sono quelle entro i confini già tracciati del conosciuto regolamentato e ritrito, lo sa anche il gatto Zorba, la cui storia apparentemente assurda ci è raccontata da Luis Sepùlveda. In breve, ‘sto gatto si ritrova a far da balia ad una gabbianella, che non solo non è una specie di animale normalmente affine o amica dei gatti, ma è anche appena nata, quindi deve imparare tutto del mondo. E mentre dal punto di vista dei gatti del quartiere la situazione è assurda, dal punto di vista della gabbianella è tutto normalissimo, perché lei è nata fra i gatti perciò le sembra normale vivere in una famiglia di gatti. Al gatto Zorba spetta il compito di dar da mangiare alla gabbianella e di crescerla, e lui assieme ai gatti suoi amici si ingegna per pensare fuori dagli schemi felini ed entrare in quelli dei gabbiani e della loro sopravvivenza. Infine, quando arriva il momento di insegnare alla gabbianella a volare, capacità che le sarebbe utilissima per salvarsi le penne dalla perfidia dei gatti convenzionali che agli uccelli fanno le feste, i gatti non sapendo come fare chiedono consiglio non certo agli altri gatti, i tradizionalisti, né ad altri uccelli, che hanno sempre seguito uno schema che però stavolta, vista la straordinarietà di una gabbianella cresciuta tra gatti, potrebbe non funzionare, bensì a qualcuno al di fuori di tutto che però, proprio per questo, potrebbe vedere la soluzione. La gabbianella è terrorizzata all’idea di non essere un gatto e di dover volare, eppure alla fine si convince a volare e ci prova..
La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare si conclude con una frase semplice semplice a cui le 500 pagine di pensiero creativo fanno a malapena un baffo: “impara a volare solo chi osa farlo”, chiunque sia abituato a pensare per metafore può trarre insegnamento da una frase così. Gli americani però vogliono l’ultima parola e aggiungono che tutti siamo in grado di volare, è una capacità insita in noi, dobbiamo solo scoprire come tirarla fuori (seguono esempi di tecniche di rilassamento, concentrazione, meditazione), e avere il coraggio di applicarla.

Consiglio il libro La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare a chi pensa già in maniera creativa, e il libro Pensiero creativo (prefazione compresa) a chi, pur nel suo piccolo, vorrebbe imparare a farlo, e concludo con la storiella che mi è piaciuta di più (anche se non viene presentata come “storiella”) del manuale di Michael Michalko, quella che parla di scimmie (ve la riassumo): in una gabbia ci sono cinque scimmie, una scala e, in cima alla scala appeso al soffitto della gabbia, un casco di banane; una scimmia lo vede, sale sulla scala per raggiungerlo, ma appena sta per toccarlo le altre scimmie vengono bagnate con un getto di acqua gelida; ogni volta che una scimmia tenta di prendere le banane, le altre vengono bagnate con un getto di acqua gelida, perciò ad un certo punto, ogni volta che una scimmia tenta di afferrare le banane, le altre l’aggrediscono per impedirglielo. Una scimmia viene tolta dalla gabbia, e sostituita con un’altra che di banane e acqua gelida non sa nulla, perciò appena nota le banane si arrampica sulla scala per cercare di prenderle, ma le altre la aggrediscono, nonostante nessuno le spruzzi più con acqua gelida oramai reagiscono così. Un’altra scimmia viene sostituita da una nuova scimmia ignara di tutto, e la scena si ripete: la nuova scimmia tenta di prendere le banane, ma le altre quattro la aggrediscono, anche quella che era stata messa nella gabbia poco prima di lei. Ad una ad una tutte le scimmie vengono sostituite, e nonostante non ci siano più getti di acqua gelida causati dal tentativo di prendere il casco di banane, ogni volta che l’ultima scimmia si arrampica sulla scala, le altre quattro la aggrediscono. Perché?
“Perché per quanto ne sanno è sempre stato così”.

Elle



Pensiero creativo di Michael Michalko - La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare di Luis Sepùlveda


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