Stanotte
ho avuto la camera tutta per me, ma l'ho scoperto solo stamattina. Mi stavo
chiedendo se per caso in quest'ostello io non sia l'unica italiana che non
conosce l'inglese, e mi son quasi risposta di sì. Ieri però, udite udite, ho
detto per la prima volta ufficialmente "ja" in risposta alla domanda "Sprichst
du Deutsch?". Alcuni di quelli che ultimamente mi parlano in tedesco, o mi
chiedono se lo parlo, sono membri dei gruppi punk.
Ieri
in cucina ne ho conosciuto uno, il gruppo più normale: erano seduti nella
veranda, ma sia la porta che la finestra della cucina erano aperte, la finestra
era aperta per far passare il filo della radio che suonava al volume massimo la
loro musica spacca timpani, che comunque non mi dispiaceva, anzi ho avuto
l'impressione che anche l'acqua sul fuoco seguisse il ritmo segnato dalla
batteria e dalla chitarra, raggiungendo il bollore prima del solito e
consentendomi di pranzare senza aspettare i soliti venti minuti. La porta invece
non aveva altro motivo apparente per rimanere aperta, se non quello di
permettermi di fumare con loro: non so di preciso quali sostanze abbia fumato
durante il mio pranzo, so solo che dopo mi son sentita meglio; dalla finestra
aperta non entrava invece il freddo, dato che c’erano 7 gradi e si stava bene,
bensì immagini di vita in comune, anche se non sempre mi sono arrivati i
dettagli, perciò non vi so dire con precisione se il capellone riccio e il
capellone moro si siano scambiati un bacio profondo o il fumo bocca a bocca: in
ogni caso un modo come un altro per rendere l'altro partecipe delle proprie
sensazioni. Uno dei ragazzi mi ha approcciato in cucina, naturalmente in
inglese, poi mi ha presentato il suo amico, che aveva il compito di fingersi
italiano, infatti mi ha salutato con un impastato "bonciorno".
I
miei compagni d’avventura in questi giorni sono proprio loro: tante persone
vestite di nero attillato, talvolta abbelliti da catene di varie dimensioni, ma
non tutte le teste hanno creste colorate: per questo prima ho detto che questo è
il gruppo punk più normale dell'ostello. La cosa strana è che sentire odore di
birra (leggete "alito"), scambiare battute col tedesco o con il suo amico o chi
era (non sono sicura di poterli distinguere in tribunale), e ascoltare musica ad
alto volume, anche se non è proprio il mio genere musicale, mi ha fatto sentire
a casa. Che razza di infanzia ho avuto, se mi sento a casa fra ubriachi tedeschi
vestiti da scheletri?
I
gruppi punk sono a Berlino per il Punk & Disorderly Festival, perciò non
fanno orario d’ufficio. Oggi alle dieci del mattino sono scesa in cucina per la
mia colazione, e ho trovato di nuovo, o forse dovrei dire “ancora”, il gruppo
punk seduto fuori che rideva impastato come un matto, la porta aperta, la cassa
di birra davanti a loro sul tavolo, il fumo che penetrava silenzioso in cucina,
loro visibilmente andati. Io però ho aspettato di iniziare ad imburrare il mio
pane, prima di poter interagire con qualcuno di loro, perché da quando sono
diventata grande, nessuno mi rivolge mai la parola se non sto facendo colazione.
Appena le prime due fette sono saltate fuori dal tostapane, io ho preso in mano
burro e coltello, poi coltello e pane, e ho iniziato ad imburrare e, come mi
aspettavo, qualcosa è successo.
Fetta
di pane numero uno. Un tipo crestato entra da fuori, mi vede china sul ripiano
vicino alla porta che da sul corridoio e si blocca sconcertato; il gesto di
bloccarsi all'improvviso gli fa perdere lo scarso equilibrio che gli era rimasto
e per poco non cade all'indietro; io mi giro quando sento un borbottio, pensando
che sia il suo modo di salutarmi, ma vedo il suo sguardo perso nei chilometri
apparentemente infiniti che separano me dalla porta: infatti continua a spostare
lo sguardo da una all'altra (siamo io e la porta), e sembra davvero incredulo.
Biascica qualcosa, di cui io capisco solo "toilette", mi sembra davvero in
difficoltà, come se tutto il mondo che lui conosce (birra e cessi, suppongo) sia
stato improvvisamente spostato e sostituito da una tipa senza cresta ma coi
capelli raccolti in una coda, vestita di nero non attillato e privo di catene,
che imburra il pane laddove un tempo passava la strada che conduce da un capo
all'altro del suo mondo (ossia dalla birra al cesso).
-
Toilette? - ripeto per maggior sicurezza, non voglio infatti dargli indicazioni
sbagliate rischiando di gettarlo nel panico più totale.
Sempre
biascicando lui trova il coraggio di chiedermi se quella porta è il bagno:
evidentemente pensava che tutto l'ostello fosse costituito da
veranda-cucina-porta del bagno. Però se io sono lì, e non sono passata davanti a
loro per arrivarci, forse sono uscita da quella porta, e se da quella porta sono
uscita io, forse quella porta non porta al bagno come lui invece credeva. Lui è
finalmente giunto a questa conclusione, quando io gli confondo di nuovo le idee
rispondendo inaspettatamente con un: - Ja. –
Lui,
ormai terrorizzato, ripete: - Ja? –
Ed
io a quel punto decido di dargli un aiutino, perciò, sempre sorridente come se
cose del genere ne facessi tutti i giorni all'asilo dove insegno, gli apro la
porta e gli ripeto: - Ja, hier links. –
Anche
perché a destra c’è la sala ristorante, e non voglio essere causa di scompiglio
nella metà borghese e benpensante degli ospiti dell'ostello. Lui mi ringrazia
con tono veramente sollevato, ed esce dalla cucina verso il bagno; credo che
all'uscita dal bagno poi si sia perso, perché non è passato dalla cucina, ma ha
fatto il giro dalla reception ed è uscito in cortile dalla porta d’ingresso, e
chissà a che ora era partito dal bagno per poter arrivare di nuovo in veranda
solo quando io ero ormai alla quarta fetta di pane.
Fetta
numero due. Due tipi vestiti di pelle nera (ma non come gli africani) entrano
dal corridoio, mi salutano ed escono fuori in veranda; io quasi subito sento
parlare di radio.
Fetta
numero tre. Uno dei due tipi appena usciti, rientra e biascica qualcosa di cui
capisco solo "Gesellschaft". Dalla mia faccia riesce a capire che non capisco,
anche perché, ve lo dico subito, la parola che ho capito significa "società".
Dopo aver ripetuto di nuovo la frase, decide di cambiare tattica, e usa un'altra
frase, di cui capisco solo "Gast", allora intuisco che mi sta chiedendo se
lavoro all'ostello o se sono una cliente. Io rispondo la verità e lui esce di
nuovo.
Fetta
numero quattro (è l'ultima, lo giuro). Rientra lo stesso tipo e mi chiede
un'altra cosa impastata, di cui capisco stavolta solo "Radio". Ancora una volta
deve ripetere, ma siccome io ho chiesto di ripetere con un semplice: - Wie? –
lui intuisce qualcosa e mi chiede: - German? –
Allora
mi rendo conto che aveva parlato in inglese, e lo confermo col ricordo di quella
strana pronuncia: "redio". Ecco perché, premurosa, mi affretto a dire "ja", e a
quel punto lui ripete in tedesco, e stavolta capisco tutta la frase: mi stava
chiedendo se avevo visto una radio.
Io
una radio l'ho vista ieri per ben due volte: la prima volta veniva ascoltata in
veranda e per questo stava sul davanzale della finestra, aperta per lasciar
passare il filo, invece la seconda volta una ragazza l'ha portata in reception,
dove ha chiesto se gliela potevano custodire lì. Siccome non so se si tratti
della stessa radio, rispondo semplicemente "nein". Lui però nel frattempo prende
a gesticolare per farmi capire che la radio che cerca è rettangolare e grande
più o meno così, ma la mia risposta negativa è definitiva, perciò alla fine lui
esce di nuovo e senza radio. Un piccolo particolare che mi ha permesso di capire
che si tratta dello stesso tipo della domanda sulla Gesellschaft, è che entrambe
le volte è entrato in cucina con la sigaretta accesa, e sappiate che si tratta
di un ostello in cui è vietato fumare ovunque, tranne in veranda (ma con
la finestra chiusa) e in
cortile.
Di
me non si può certo dire ch'io abbia la puzza sotto il naso, anche se gli odori
purtroppo li sento tutti, a volte ancor prima che vengano emanati. Incontrare
tante persone, anche quelle che nel mondo da cui provengo vengono definite
"strane", a me fa piacere, perché mi piace aprirmi a nuovi modi di essere, di
vivere, di vedere il mondo. Ho imparato che una persona apparentemente strana,
ad esempio nell'aspetto, nell'abbigliamento, nel modo di parlare o gesticolare,
spesso nei fatti concreti si comporta "normalmente", e che persone del tutto
normali secondo gli standard del mondo da cui provengo, una volta superato
l'involucro più esterno, quello del primo impatto per intenderci, si rivelano
completamente fuori dai loro stessi canoni. Ho imparato che per tutti esistono
persone “normali” e persone “strane”, solo che le definizioni di ognuno portano
a risultati differenti, e l'unico modo per conciliarli tutti è quello di dire
"sono normali le persone come me, sono strane tutte le altre". Io però non
riesco a vedermi come una persona normale in un mondo di normali, e allo stesso
tempo non mi va nemmeno di essere etichettata come strana, piuttosto penso che
ognuno sia qualcuno, qualcuno diverso dagli altri, ma senza voler dare alla
parola "diverso" un'accezione negativa, bensì col significato di "a modo suo
speciale". Ma se proprio volessi stabilire anch'io dei requisiti da possedere
per poter essere definiti "normali" secondo il mio punto di vista, allora ne
indicherei solo uno: rispetto.
Avendo
sempre in mente che in ogni definizione, anche in quelle più lunghe di una sola
parola, è bene includere di diritto un certo numero di eccezioni, vi invito a
riflettere su una questione puramente tecnica: immaginate la cucina
dell'ostello, e mi raccomando concentratevi perché dopo vi interrogo su quello
che ho detto: la cucina è formata da un pavimento e da un soffitto, ciascuno dei
quali ha una superficie di circa 3 metri per 4; tra il pavimento e il soffitto
c'è una parete alta circa 3 metri, in tutta la cucina ci sono ben 4 pareti, e
precisamente ce ne sono 2 larghe 3 metri e 2 larghe 4 metri; se voi ora vi
prendete il disturbo di moltiplicare tutti assieme contemporaneamente questi
numeri l'uno con l'altro, otterrete all'incirca il volume complessivo della
stanza. Come potete vedere non è una cucina piccolissima, per questo la mia
domanda è: perché stamane il mio Amico Punk, avendo a disposizione tutti questi
metri cubi di spazio, ha agitato la sua sigaretta accesa precisamente sopra i
soli dieci centimetri di diametro della mia tazza piena di
caffè?
ELLE, sabato 30/06/2012