“Che ci sono persone
che dicono sempre che prima si stava meglio, Emilio lo sapeva già da
tanto. E non ascoltava nemmeno più, se qualcuno raccontava che prima
l’aria era più sana e i buoi avevano teste più grandi, perché il
più delle volte non era vero, e queste persone erano solo di quelle
che non vogliono mai essere soddisfatte, perché altrimenti sarebbero
soddisfatte.”
“Quattro milioni di
abitanti aveva Berlino e nessuno di loro si interessava a Emilio.
Nessuno vuol sapere mai dei problemi degli altri, perché ognuno ha
già abbastanza da fare coi propri problemi e i propri piaceri. E
quando qualcuno dice ‘mi dispiace davvero’, il più delle volte
non intende altro che ‘ma lasciami in pace!’”
Siamo a Berlino negli
anni Venti, quando Erich Kästner pubblica
il suo primo romanzo per bambini, che ha come piccoli protagonisti
Emilio e i detective. Dovrebbe essere un giallo per bambini però c’è
qualcosa in più, qualcosa di troppo.
Di Kästner
avevo già letto un libro, dal titolo Quando ero bambino, in
cui l’autore racconta la sua infanzia fino ai dieci anni o poco
più, specifica infatti di non poter andare oltre, altrimenti il
libro non potrebbe più essere il racconto di “quando era bambino”,
e ha ragione. Racconta della sua infanzia e da un certo punto in poi
si concentra molto su sua madre e sul loro rapporto, si capisce che
sua madre era per lui molto importante. Come in ogni autobiografia
che si rispetti, il protagonista è lui e le sue mani avanti, come se
sapesse già che qualcuno avrebbe sollevato obiezioni. Qualcuno avrà
detto qualche volta al nostro caro Erich che la sua è stata
sicuramente un’infanzia infelice, che era senz’altro
insoddisfatto perché povero, e che ha subito dei traumi perché era
figlio unico? Non lo so, però lui ci tiene a precisare di aver avuto
un’infanzia felice, di aver fatto sempre quello che voleva anche se
era povero, e di non aver mai sofferto di solitudine. D’altronde
aveva sua madre, gran donna che lui innalza agli onori della gloria,
ripetendo nel dettaglio quanto fosse speciale.
Anche in questa
autobiografia (ma dovrei dire “racconto della sua infanzia”) si
rivolge ai bambini, ai suoi piccoli lettori, spiega loro il suo
scrivere, racconta loro la sua vita, fa loro da educatore spiegando
qualcuno dei misteri della vita, mettendoli in guardia in qualche
modo, ad esempio sul passare del tempo indimenticabile:
“’Da allora sono
passati più di 50 anni’, dice obiettivamente il calendario, questo
ragioniere vecchio e pelato nell’ufficio della storia, che
controlla il conto del tempo e sottolinea, con inchiostro e righello,
gli anni bisestili in blu e quelli a inizio secolo in rosso. ‘No!’,
grida il ricordo e scuote i riccioli. ‘Era ieri!’, e sorridendo
aggiunge piano: ‘O al massimo l’altro ieri’. Chi ha sbagliato?
Entrambi hanno
ragione. […] Il nostro ricordo, l’altro modo di misurare il
tempo, non ha niente a che fare con il metro e il mese […]. Vecchio
è ciò che si è dimenticato. E l’indimenticabile era ieri.
L’unità di misura non è l’ora ma il valore.”
Il linguaggio è
semplice, i concetti sono quelli di base, ma che si imparano
crescendo: che cos’è il tempo, come lo si misura, come se ne
diventa vittime; ma ad un certo punto si scopre anche che il proprio
metodo di misurazione, quello per così dire “infantile” che si
era usato fino ad allora, rimane l’unico davvero valido
personalmente.
Del linguaggio semplice
dedicato a bambini e ragazzi fanno parte i numerosi “ma questo
adesso non c’entra”; dei concetti meno semplici e degli
insegnamenti più o meno espliciti, fanno parte alcuni piccoli
commenti, come quello che parla della febbre puerperale: “Il
dottore Semmelweis è stato chiamato ‘il salvatore delle madri’
e, dalla grande ammirazione, ci si è dimenticati di erigergli dei
monumenti. Ma questo non c’entra”. Alcune volte, al suo “ma
questo adesso non c’entra” avrei risposto “stavo per dirtelo
io”. In questo caso però si parla di qualcuno a cui avrebbero
dovuto fare un monumento anziché ammirarlo e basta: proprio quello
che succede alle mamme, no?
Come in ogni
autobiografia che si rispetti, Erich racconta le origini dei due rami
della famiglia, quello paterno e quello materno, motivo per cui trovo
sempre noiose le biografie. Si punta sui pregi, senza nascondere i
difetti, si trasformano alcuni difetti in presunti pregi, motivo per
cui trovo le biografie poco realistiche, sicuramente di parte, in
qualche modo insincere, spesso inutili: “Noi Kästner
non siamo particolarmente curiosi del grande mondo. Non soffriamo di
nostalgia per ciò che è lontano, piuttosto di nostalgia di casa
[…]. Se noi potessimo portar appresso il letto e la finestra del
soggiorno, allora se ne potrebbe forse parlare! […] noi siamo,
temo, amici della casa, dell’abitudine e della comodità. E noi
abbiamo, accanto a questa ambigua caratteristica, una virtù: siamo
incapaci di annoiarci. Una coccinella sul vetro della finestra ci
tiene completamente impegnati”.
Trasformare uno sguardo
ebete rivolto ad una coccinella su una finestra in una virtù è
ammirevole. La mancanza di curiosità viene qui presentata come un
difetto, il tono è quasi di scusa, io che sono in parte curiosa non
ho mai pensato che non esserlo sia un difetto, così come non riesco
a pensare che esserlo sia in assoluto una qualità: dipende da come
si mostra e si muove questa curiosità, non dimentichiamoci che la
curiosità uccise il gatto. Però non mancano le persone che si
reputano curiose e se ne vantano, quasi sottintendendo che chi non lo
è sia un poveraccio che deve in qualche modo motivare la sua
mancanza di curiosità, scusarsi o difendersi davanti ad un giudice
supremo, possibilmente presentando a deporre il medico che ha isolato
il gene ereditario vero colpevole. Erich fa di più, lui trova una
spiegazione che punta sulla sfida alle emozioni: non sono curioso, ma
vuoi mettere avere nostalgia di casa? Non c’è paragone.
Ma perché mai avere
nostalgia di casa dovrebbe essere un’abitudine ambigua? Cosa c’è
da disambiguare? O è solo per avere un contro peso della virtù di
non annoiarsi mai? Qualcuno ha detto forse al piccolo Erich che non
essere curiosi è noioso? Che avere nostalgia di casa è ripetitivo?
Che è da mammoni??
In modo pacato, Erich
sembra approfittare della sua autobiografia, o del racconto della sua
infanzia, quale è in realtà, per rispondere fuori dai denti a
quanti avevano senz’altro cercato di convincerlo di essere un
bambino sfortunato perché figlio unico, e sfrutta il suo essere
autore famoso per metterlo nero su bianco pubblicamente.
Inizialmente, altri motivi davvero validi a giustificare il seguente
passaggio, non ne ho trovati: “Ci sono molte persone giudiziose
nel mondo e talvolta hanno ragione. Se hanno ragione quando
sostengono che i bambini dovrebbero assolutamente avere fratelli,
solo perché altrimenti crescerebbero da soli, verrebbero viziati e
rimarrebbero per tutta la vita degli originali, questo non lo so.
Anche le persone giudiziose si dovrebbero proteggere dalle
generalizzazioni”.
In questo passaggio si ha
conferma che il libro si rivolge ai bambini, perché il nostro Erich
in sostanza ha gentilmente detto a tutti quelli di cui sopra un bel
“fatevi i cazzi vostri”, ma senza dire parolacce o essere
offensivo, li chiama anzi “persone giudiziose”.
Dall’intero libro
traspare spesso, fino a dichiarazioni più esplicite, il già
nominato amore, sconfinante nell’adorazione, per sua madre, così
alla fine ho rivalutato la mia prima impressione: forse non è stato
Erich ad esser stato oggetto di critiche, d’altronde non è stata
colpa sua se è rimasto figlio unico, ma sua madre, e lui intendeva
difendere proprio lei da accuse che forse ha sentito scendere a
pioggia sulla madre, sputacchiate da altre donne che la mettevano in
guardia sui rischi del non avere altri figli. Il piccolo Erich
diventato grande può quindi sputare in faccia a tutti i mal pensanti
la sua lampante verità: anche se la sua mamma l’ha fatto figlio
unico, lui non è cresciuto matto come un cavallo, bensì sano come
un pesciolino. ‘Fanculo ai mal pensanti insomma.
Eppure qualche sassolino
nella scarpa.. “Volevo fare ginnastica e facevo ginnastica,
perché mi divertivo. Non volevo essere né diventare un eroe. E non
lo sono nemmeno diventato. Né un eroe finto, né un eroe vero.
Conoscete la differenza? Gli eroi finti non hanno paura, perché non
hanno fantasia. Sono stupidi e non hanno coraggio. I veri eroi hanno
paura e la superano.” Disse lo sfigato che aveva capito tutto
della vita. Ora qualcuno potrebbe pensare che io ce l’abbia in
qualche modo con Erich, ma non è del tutto così. Esatto, non del
tutto, solo in parte. Mi piace il suo linguaggio semplice, il fatto
che si rivolga ai bambini e gli spieghi un po’ di cose, è molto
attuale nonostante sia da considerarsi oramai del secolo scorso. La
storiella scorre lieve e mentre la leggevo pensavo a mia madre,
perciò ho comprato un’altra copia del libro e gliel’ho regalata,
perché è esattamente il tipo di storia che piace a lei: buonista e
madre-centrica. Erich potrebbe essere il figlio devoto che non ha mai
avuto. Io infatti sono contraria a qualsiasi forma di devozione e
adorazione. Povera donna.
Il buonismo di Erich, e
il fatto che ripeta quanto fosse forte, coraggiosa, lavoratrice sua
madre, anche alla luce dei tempi che erano, mi ha infastidita, questo
è chiaro. Le ripetizioni mi infastidiscono. L’abbiamo capito,
Erich, che tua madre era fantastica, come tutte le mamme, ma tu sei
un bambino speciale che non dimenticherà mai quanto la sua mamma
fosse speciale, prenderemo tutti esempio da te. Io ad esempio, a
distanza di anni dalla mia infanzia, ho regalato a mia madre il
figlio devoto che non ha mai avuto. In formato tascabile.
Adesso potete immaginare
con quale disappunto abbia letto il primo capitolo del giallo per
bambini in cui il piccolo Emilio è tanto affezionato alla mamma,
l’aiuta in tutto, cerca di essere buono e di risparmiare perché
sono poveri e la mamma lavora tanto e non si merita che lui sia
disubbidiente perché se non fosse per lei.. La mamma di Emilio e
quella di Erich sono incredibilmente simili: pure lo stesso lavoro!
Il primo capitolo mi ha dato sui nervi, che giallo è un libro
buonista con un bambino che ripete che la mamma si sacrifica
eccetera? Non muore nessuno? Emilio è un ometto tanto buono e
ubbidiente, però, finché sul treno per Berlino non gli rubano i
soldi faticosamente guadagnati dalla mamma e che lui doveva portare
alla nonna, allora s’incazza e decide di smascherare il ladro,
improvvisando un po’. Ma è quando incontra Gustavo, un bambino
berlinese, che la storia si smuove davvero.
Gli incontri con gli
sconosciuti capitano a tutti, quando poi si arriva da una cittadina
di provincia nella grande Berlino e l’incontro avviene con un
bambino di città dal linguaggio impertinente, si può sfociare in
uno scontro. La sfida a fare a pugni viene lanciata subito, perché
Gustavo non manca di prendere in giro Emilio per il suo “abito
buono”. Ma subito dopo nasce una collaborazione, perché la storia
che racconta Emilio è fichissima e Gustavo non può fare a meno di
offrire il suo aiuto, anzi il suo e quello di tutti quelli che riesce
a trovare. E così riunisce una ventina di altri bambini, il capo dei
quali è chiamato il Professore, ed è lui che dà gli ordini: è una
missione vera e propria, recuperare i soldi di Emilio e punire il
ladro. Il Professore delinea la strategia e divide i compiti, c’è
chi resterà di guardia, chi procurerà qualche moneta per eventuali
spostamenti in tram, chi procurerà da mangiare, chi avvertirà le
famiglie che loro faranno tardi o che tizio rimarrà a dormire da
caio che però dormirà da sempronio eccetera. Un compito delicato
avranno soprattutto quelli che in casa hanno un telefono, necessario
per le comunicazioni a distanza: una staffetta porterà l’ambasciata
in entrata e in uscita dalla casa del centralinista. Tutti i bambini
sono entusiasti della loro missione, ma anche serissimi nel loro
compito. Un altro ambasciatore andrà a casa della nonna di Emilio,
che sta per chiamare la polizia perché lui non è arrivato alla
stazione col treno regionale come previsto, per rassicurarla. Uno dei
personaggi più impertinenti e simpatici è la cugina di Emilio, che
si aggrega e fa pure qualche battuta sul ruolo delle donne (portare
cibo ai detective senza poter partecipare alle indagini), ma senza
dar troppo peso alla cosa.
E all’improvviso,
finalmente, l’onnipresente Erich scompare per lasciare spazio a
Emilio e ai detective e alle loro mosse per smascherare il ladro. È
come se nel descrivere i vari personaggi e le situazioni Erich
riuscisse ad essere un neonato ma promettente autore di gialli per
bambini, mentre quando deve descrivere Emilio, ritornasse il bambino
sfigato e bisognoso di difendere il suo buonismo che era. Tutto fila,
nulla stona, tutto è realistico nella sua semplicità, tutto è a
portata di bambino, delle sue curiosità, delle sue fantasie: a chi
non piacerebbe fare il detective e acciuffare un manigoldo? Mi ha
ricordato la mia infanzia, i giochi per strada, gli inseguimenti, i
nascondigli, le trame, le risoluzioni, cosa non ci si inventava!
Non mancano però, visto
il personaggio che è ‘sto autore, le incursioni buoniste, come il
discorso fra bambini sul comportamento dei propri genitori, più o
meno permissivi: sant’Emilio, proprio come il piccolo Erich, adora
la sua mamma e non solo la aiuta, ma si priva eroicamente di mezz’ora
di gioco per cenare con lei e non lasciarla mai sola, come dire che
questa donna ha sempre il figlio in mezzo ai coglioni, anche quando
gli dà il permesso di star fuori più a lungo, lui zac!, torna a
casa prima del previsto. Anche quando gli dà i soldi per comprarsi
quello che vuole, lui no!, non li spende perché la mamma li ha
guadagnati col sudore della sua fronte, povera donna coraggiosa.
Emilio lo spiega al
Professore, che gli ha chiesto se sua madre è severa:
“Mia madre? Neanche
per sogno: lei mi permette tutto. Ma io non lo faccio, capisci?”
“No”, disse il
Professore con sincerità, “non lo capisco.”
E Emilio che vien dalla
campagna spiega al bambino di città come va il mondo:
“Allora, ascolta.
Avete molti soldi?”
“Questo non lo so. A
casa non parliamo molto di queste cose.”
“Secondo me, quando
a casa non si parla molto di soldi, significa che se ne hanno molti.”
Il Professore rifletté
un attimo poi disse: “È possibile.”
“Vedi? Io e mia
mamma parliamo spesso di soldi, perché noi ne abbiamo pochi […].
Ma quando facciamo una gita con la scuola, mia mamma mi dà gli
stessi soldi che ricevono gli altri ragazzi. Qualche volta
addirittura di più. […] E io gliene riporto la metà.”
“Te lo dice lei?”
“Certo che no! Lo
voglio io!”
Emilio però, a contatto
coi nuovi amici berlinesi, diventa pure simpatico. Quando non parla
di sua madre, intendo. Ha idee, ma tutti ne hanno. Prende decisioni,
ma le più importanti le lascia al Professore. È buono, sì, quindi
ringrazia tutti, ma se deve sfidare qualcuno a fare a pugni lo fa
subito. A volte sembra un vero bambino fantasioso e non il guru dei
rapporti di famiglia. Ognuno dei piccoli detective ha il suo momento
di gloria, e alla fine del romanzo ci pensa la nonna a dare un po’
di gloria anche all’unico che era stato dimenticato, in modo da non
mancare all’appuntamento buonista finale.
Una volta acciuffato il
ladro (e non vi dico come, se non che l’idea è infantile e geniale
come tutto il resto), il romanzo sarebbe dovuto finire ma no, Erich
non è soddisfatto se non edifica un bel monumento a lui e a sua
madre, e cosa si inventa per ricordarmi che l’autore del giallo per
bambini è proprio lui? Innanzitutto fa ricomparire un personaggio
che era solo una comparsa che ha fatto una buona azione dimenticabile
(come tutte le buone azioni), e indovinate come fa di nome questo
personaggio? Kästner, guarda caso. Il più
buono di tutti, la sua mamma sarà contenta, ci scommetto. Quando
Emilio lo incontra la prima volta ha luogo la prima e unica sfida
portata a termine del romanzo (esatto, la sfida ai pugni non avrà
luogo): Emilio cerca di essere più buono dello sconosciuto, ma lo
sconosciuto, che è adulto e ha anni di esperienza sul groppone come
unico buono di turno anche nei festivi resiste e vince la partita. Ed
è buono nonostante sia un giornalista curioso! È cresciuto proprio
bene, educato e rispettoso, il nostro Erich, complimenti alla mamma.
Poi c’è l’evitabile
sorpresa del premio: un'altra occasione di scrivere qualche capitolo
in meno sprecata. Bastavano i complimenti del commissario? Certo che
no, ci voleva la taglia sul malandrino. E perché ci voleva? Non
indovinate? Ma per aiutare economicamente la povera mamma che lavora
tanto e dare occasione al piccolo Erich, alias Emilio, di mostrare
tutta la sua abnegazione! E senza dover aspettare anni e anni di
diventare uno scrittore famoso e di veder pure bruciati i suoi libri
dai nazisti.
Perciò, se dei 18
piccoli capitoli elimino l’1 e il 2, la fine del 15 quando il
benefattore misterioso si rivela un giornalista e invita Emilio e i
suoi amici detective a pranzo e insiste e non si leva di torno,
neanche fosse uno spasimante della mamma desideroso di fare bella
figura, e i capitoli 16, 17 e 18, posso dire che questo giallo per
bambini è davvero bello, nella sua semplicità. Voglio dire: anche
se non muore nessuno.
Erich Kästner:
Quando ero bambino,
tradotto da Elisabetta Terigi
Emil und die
Detective, illustrato da Walter Trier (le citazioni le ho
tradotte io)
Elle