Oggi è sabato e il tempo è incerto. Dalla mia finestra guardo il sole che sta scemando lentamente dietro la collinetta e sono quasi ubriaco. Il telefono continua a squillare ma me ne sto fermo su questa sedia a cercare di afferrare il significato delle cose che seguitano a sfuggirmi. Così, senza accorgermene, finisco per scolarmi la bottiglia di vino da due euro al litro. Desidero andarmene da qualche parte, è da tempo che voglio cambiare aria perché a stare fermi le cose peggiorano di giorno in giorno. Tengo le palpebre strette, il capo reclinato e intanto penso che non ho mai fatto realmente parte di questa società e che il distacco tra me e il mondo si fa sempre più grande. Ma è solo colpa mia se adesso non riesco più a tenere a bada l’inquietudine. Ho i capelli arruffati e la faccia tirata. Mi alzo e vado in cucina a bere un bicchiere di acqua minerale. Qualcuno suona alla porta di casa, lo mando affanculo, che non mi rompa i coglioni chiunque esso sia. Per il momento ho voglia di dormire e che mi lasci a sudare e imprecare mentre qui da solo impazzisco. Cull'uocchie astritte e chino e suonno te resta 'o munno 'mmano e po' l'haje suppurtà cull'uocchie astritte e 'o viento attuorno te vieste e nun saje cchiù che cosa haje raccuntà' E nun ce sta piacere nun ce sta piacere nemmeno a ghi a fà' 'nculo pe' 'na sera (Nun ce stà piacere - Pino Daniele).
“Deve fare il furbo per riuscire a farcela in questo mondo” mi ripete lo strizzacervelli della mutua. Per un attimo mi guardo allo specchio che sta sulla parete proprio di fronte a me. Il foulard di seta legato al collo è assai simile a quello che usavo quando avevo diciassette anni e di cui allora mi servivo per affrontare i miei primi giorni di pioggia. Ho ancora i capelli lunghi alla Jim Morrison, sono vestito di nero e porto scarpe a punta di camoscio, come quelle che aveva Bob Dylan in una foto scattatagli durante gli anni sessanta. E mi sento spacciato. Con questa faccia da stupido che mi ritrovo dove vuoi che vada, penso. Forse ad inseguire la pazzia della notte per poi restarmene supino a guardare il soffitto mentre ascolto la pioggia cadere. Lo strizzacervelli mi scuote urlandomi sul viso: “Non c’è posto in questo mondo, se continua in questa maniera”. “Non c’è posto cerchi di capirlo per i sognatori, per chi si affaccia al balcone solo per sentire l’aria del mattino sulla pelle o il tepore del sole. Non c’è posto per chi vuole perdersi dentro un giorno senza tempo. Lei deve pensare a produrre e consumare, lo capisce questo, vero? Non c’è posto per un confuso come lei. Deve prendere posizione avere un leader politico, dibattere cosa è giusto o sbagliato. Anche se poi resta tutto uguale non importa. Deve pensare a migliorare la sua posizione sociale, farsi un abbonamento ad una tele e guardare le partite di calcio. Iscriversi a facebook, cinguettare, farsi una cultura. Leggere gli articoli preziosi e saggi di Severgnini, Aldo Grasso, Ezio Mauro, Concita De Gregorio, Massimo Franco, e Eugenio Scalfari. In estate andare in vacanza con gli amici in barca a vela. Non può continuare a starsene in silenzio e pensare che un goccio di vino rosso, per di più scadente, o una canzone, una frase, uno sguardo, un libro di Bukowski, una carezza, banalità del genere possano cambiarle l’umore e renderla felice. Si faccia coraggio, mister Tristezza, una volta per tutte e accetti la realtà prima di diventare totalmente pazzo”, mi chiosò il dottore. Giuro che non eri una mia ambizione. Avevo in mente come stemperarmi. Camminai verso il bar e ordinai. Poi presi fuori il ghiaccio, sedetti al sole caldo. Guardai intorno a questa terra nuova. E dopo, oh Cool Blue Long Dark, mi hai rubato il cuore. (Cool Blue Stole My Heart-Joan Armatrading).
Esco dall’ambulatorio con l’inventario delle mie disgrazie, e decido di andarmene a zonzo per la città. Arrivato nei pressi del porto, un gran via vai di militari mi mette in allarme e, siccome sono assai allergico alle divise, nella confusione che si è creata tento di cambiare rotta ma, dopo un occhiata un po’ più attenta, capisco che non ho nulla da temere, che è solo una parata militare in memoria di non so che cosa. Ascolto la fanfara suonare l’inno nazionale, poi mi accendo una sigaretta e sputacchio di lato. Ci sarà sempre la guerra e ci sarà sempre gente pronta a scannarsi. E in quell’istante prendo nota che ho perso l’ultimo scampolo di fiducia, l’ho cacciata da qualche parte ma non ricordo più neanche dove. Forse l’ho spinta in fondo al corpo insieme alla speranza e l’ho mandata giù talmente in profondità che è finita nell’intestino insieme alla merda. “Non scoppierà mai la rivoluzione”, me lo disse il vecchio Charlie, ma io allora non gli credetti. La gente non è disposta a cambiare se stessa. La prima cosa che farebbe durante i tumulti si accapiglierebbe per rubare un televisore, la stessa feccia che li ha avvelenati. Sono un cane solitario, e su questo non ci piove. Uno che preferisce fare tutto da solo, anche ubriacarsi. Sulla strada di casa, da Angelo, il bottegaio che vende il vino sfuso, ne prendo a credito cinque litri e adesso, e solo adesso, nel brusio del mio cervello si apre un varco. Mostra qualche emozione. Metti un’espressione nei tuoi occhi. Accenditi se sei felice. Ma se ti senti male, fai scivolare via queste lacrime. Suvvia, prova ad imparare a sanguinare. Quando prendi una brutta caduta. Accenditi se tutto va bene. Ma se va male, lascia che queste lacrime scivolino via (Show some emotion - Joan Armatrading).
Sly Stone, prima di diventare un divo del rock, lavorava per una stazione radiofonica da dove trasmetteva ogni genere di musica. Da Dylan a Hendrix e James Brown. Questo gli permise di abbattere qualsiasi barriera e di non fissarsi solo con un genere musicale, cosa che generalmente i musicisti fanno. Nel 1969 sale sul palco di Woodstock insieme ai Family Stone e davanti a quell’ immensa platea si esibisce con il set esaltante di I want to take you higher e Dance to the music. Sly Stewart è un tipo difficile, ha seri problemi con la droga (ma chi non li ha in questo mondo!), è stato in carcere ed è pazzo quanto basta. Sul palco è un istrione animalesco e alle volte capita anche che è troppo “fatto” per suonare decentemente. La sua è una sintesi anarchica di musica soul, psichedelica, gospel, i cui intrufola anche della musica latina e della fusion ante litteram. Nel 1971 pubblica There’s A Riot Goin’On, un album di rottura, dove rock, acido e soul la fanno da padroni. Con puro radicalismo e militanza politica si schiera dalla parte dei sopraffatti, ed è strano che accada, ma alle volte succede che raggiunge le vette delle classifiche di vendita. Ha testi duri, questo disco, che parlano di rivolta, della ribellione dei ghetti, della lotta per l’integrazione razziale, del potere nero e del separatismo. ”La mia sola arma è la penna. E mi sento capace di usarla. Sono uno scrittore, un poeta. Le cose che fotografo ogni giorno, le faccio ritrovare in ciò che dico (The Skin I’m In). Ma tocca anche i temi della disgregazione familiare in Family Affair. Sly, dopo l’uccisione di Martin Luther King, diventa portavoce del suo popolo ed è con questo disco e queste canzoni che lancia un duro attacco all’ordine mondiale dei bianchi. Tutte cose che il pallido, pallidissimo, signor Obama, si sognerebbe di pronunciare anche in una conversazione privata.
Nel corso della notte mi sono svegliato più volte con l’angoscia che mi attanagliava il cuore. E alla fine ho deciso di non dormire più, tanto i miei incubi avrebbero continuato a perseguitarmi e non me lo avrebbero permesso neppure se avessi voluto. Come chiunque, ho sempre fatto molti errori ma non ho mai cercato scuse o trucchi per difendermi. Forse non ho mai spiegato fino in fondo cosa mi accade dentro, ma è sempre stato troppo faticoso. Così, mi sono sequestrato da solo e sono rimasto in silenzio. Non ho rimpianti per questo, perché dovrei averli adesso che sono come una vecchia abat-jour posata sul comodino ad illuminare i ricordi. Adesso che intorno a me vedo solo i pezzi di un uomo sparpagliati per la stanza. La rivoluzione vi metterà al posto di guida. La rivoluzione non la daranno alla televisione, non la daranno alla televisione. Non la daranno alla televisione, non la daranno alla televisione. La rivoluzione non sarà una replica, fratelli. La rivoluzione sarà in diretta (The Revolution Will Not Be Televised - Gil Scott Heron). Mi sento davvero stanco in questo periodo, sarà che la primavera mi tiene l’umore basso. O, invece, è il fatto che più invecchi più capisci come vanno certe cose e allora o t’incazzi, oppure ti ubriachi. Io ho scelto di ubriacarmi, anche se sotto la mia crosta il sangue ribolle. Sono circondato da disonesti, bidonari, gente che tesse la tela stando ben attenta che non si apra nessun buco. Tutto è già segnato scrupolosamente per i loro leccaculi, persone abituate all’ingrasso. E tutto se ne va alla deriva. Il mondo è buio e silenzioso. Sono fermo sul baratro quando dal brusio di una radio mi arriva una melodia che ho sepolto sotto cumuli di macerie. Lei mi manda lettere d’amore blu fin dalla lontana Filadelfia per ricordare l’anniversario di qualcuno che io non sono più e mi fanno sentire come se ci fosse una taglia per il mio arresto. Mi sono rivisto com’ero anni fa. Adesso sono sempre in fuga e mi sposto in continuazione. Ecco perché ho cambiato nome. E non pensavo mi avresti mai trovato qui (Blue Valentine - Tom Waits).
Nel Bronx un gruppo di ragazzi sta in mezzo alla strada. Hanno l’aria aggressiva. Un uomo nero vestito di nero porta un cappellino di lana e occhiali a specchio. Sta attraversando con passo veloce il marciapiede. I cugini Bramante lo osservano, seduti su una decapottabile bianca, toccandosi il cazzo e passandosi uno spinello che è lungo come una tromba. L’uomo nero è un sobillatore, poeta, musicista, scrittore. Un genio. Uno che non ha mai alzato la bandiera dei vincitori. Chiude gli occhi per un istante. E’ un circo d’anime questa strada. Il jazz è John Coltrane. Il blues e a Jackson, Tennessee. Occhi che tornano a guardare. La poesia è Gil Scott Heron. Un pallido sorriso è lo spettro di un sorriso. Reflection è del 1981 e chi non lo hai mai ascoltato può solo farsene una colpa. C’è polvere e sangue, odio e amore. C’è la rivoluzione, i ghetti pieni di droga, i diritti civili e l’angoscia, quell’angoscia di non farcela. La vita scorre e pulsa, anche dove si spengono i lampioni e non passa più nessuno. E’ come una cicatrice profonda sulla pelle del popolo americano, questa voce. Mattino come principio di un nuovo giorno con tutta la sua luminosa promessa splende prima pallido poi brilla sullo Zimbabwe su El Salvador sulla Namibia sulla Polonia ovunque un uomo osa protestare per un cambiamento. Siamo nati alla mezzanotte del periodo più scuro ma sicuramente il primo minuto di un nuovo giorno offre… nuova forza (Morning Thoughts - Gil Scott Heron).
Cammino su e giù per la stanza e tutto mi sembra una fregatura. In cosa si sono trasformati i miei sogni non lo so più. Certo ci sono un sacco di persone sbronze come me a quest’ora della sera. Da dove comincio allora? Forse da quel libro che devo scrivere. Mi riempio il bicchiere mentre una fredda tristezza mi attraversa il cuore. L’ho imparato su me stesso che quando si cammina dal lato infernale non si torna più indietro. È una notte molto buia e sento le sirene nella strada. Credo che lascerò dondolando questa città. Come sogni mezzi dimenticati, come una pietruzza nella scarpa. Mentre cammino per queste strade e il fantasma del tuo ricordo e una spina dentro un bacio e il ladro che spezza il gambo di una rosa (Blue Valentine - Tom Waits).