E' notte fonda, e nella stanza
l'espressione "buio pesto" sembra essere un eufemismo,
quando da un angolo si scorge una luce dai colori strani, uno
squarcio nell'oscurità in mezzo al quale le zampe di un enorme ragno
si muovono, poi un cd che comincia a girare e una chitarra acida e
distorta ad aprire le danze. E' così - brancolando nel buio e con la
sensazione che qualcosa lì in mezzo si stia muovendo - che si entra
nel mondo dei Miriam Mellerin, power trio pisano formato da Diego
Ruschena, Daniele Serani e Pietro Borsò che promette fuoco e
fiamme....
Sono molto giovani i tre toscani,
classi 1988, 1989 e 1993, come giovane è la loro band, ma l'età
conta davvero poco quando ci sono talento e passione, tant'è che dal
2010, anno di nascita del gruppo, i Miriam Mellerin sono
letteralmente esplosi, in un battito di ciglia si sono ritrovati
appena ventenni a condividere il palco con Gazebo Penguins, Ovo,
Titor e persino Giorgio Canali, e vengono notati quasi immediatamente
da Edoardo Magoni, produttore già di un'altra ottima band toscana
del circuito Alternative rock italiano, i Kobayashi. Magoni non ci
pensa due volte e mette i tre sotto contratto per pubblicare l'album
di debutto che ha visto la luce lo scorso 25 gennaio. "Miriam
Mellerin", semplice titolo omonimo che dopo poche settimane era
già sulla bocca di molti nell'ambiente, e ascoltando i sette brani
che lo compongono è facile comprendere il perchè....
Ma torniamo a quella stanza buia e a
quelle stranianti sensazioni, l'acida chitarra di Daniele Serani
introduce il baluginìo dell'enorme ragno per qualche secondo, poi il
ritmo si abbassa e la stanza torna a farsi tetra, è "Parte di
me" la traccia di apertura, in bilico tra il post rock e il
noise, in un crescendo continuo che inizialmente attribuisce al pezzo
connotati quasi da ballata, per poi sferrare colpi di elttricità e
rumore ben piazzati, con le sferzate di Serani sul tempo
violentemente battuto da Pietro Borsò e la voce graffiante di Diego
Ruschena; come se non bastasse ad impreziosire il brano arriva sul
finale il riuscitissimo duetto di Ruschena in collaborazione con
Diletta Casanova dei The Casanovas. Una prima traccia a dir poco
significativa, che chiarisce da subito l'orientamento musicale
dell'intero disco: quello che i Miriam Mellerin vogliono creare è un
caos rumoroso in cui le sensazioni, le paranoie, la rabbia e gli
istinti si incontrano e si scontrano, un plumbeo habitat, quello
perfetto di una scricchiolante e inquietante stanza buia, in cui il
trio toscano fa convivere pezzi nervosi e urlati, attimi di delirio
paranoico e un sound che saccheggia quel che di migliore è stato
creato dalla scena alternativa italiana e lo mescola con ispirazioni
internazionali, in particolar modo con il rock spinto, quasi
hardcore, tipico dell'underground statunitense. I tre pisani
interpretano il rock in maniera molto personale, anche se i
riferimenti e le similitudini con altre band italiane ci sono, l'aura
di Verdena e Marlene Kuntz si nota nel sound e i testi a volte
cantati o urlati e altre volte narrati ricordano non poco il teatro
degli orrori, soprattutto nella seconda traccia, "Made in
Italy", cadenzato rock rabbioso che con poco velate metafore
spara critiche a raffica a questa nostra "povera penosa
penisola", a quest'Italia in cui "non c'è nessuno che ti
salverà da meccanismi di sottomissione delle coscienze", e come
non ritrovarsi nella voce roca e nervosa di Ruschena che urla
"Scappa! Via di qua!". Ma è dal terzo brano che i Miriam
Mellerin cominciano a far pesare il loro talento, le splendide linee
di basso di "Made in Italy" sfumano negli ultimi secondi e
da qui in avanti non ci sarà un attimo di respiro, il buio diventa
oscurità, la stanza chiusa si fa improvvisamente piccola e
claustrofobica, il delirio comincia, e ha tutte le sembianze di una
colonia di "Insetti". "Insetti", questo il titolo
del brano forse più interessante dell'album, una paranoica
immedesimazione negli istinti e nelle ossessioni di un'insetto - che
poi sono davvero così diverse da quelle un essere umano? - suonata a
ritmi forsennati con i bpm a numeri altissimi e da ascoltare a
decibel da sordità, una bomba.
Siamo al giro di boa e "Trust",
la quarta traccia è anche la prima in cui la band accantona
l'italiano a favore dell'inglese, dimostrando di saperci fare anche
con l'idioma d'albione; in "Trust" l'espressione post-rock
prende forma nel migliore dei modi e il risultato è davvero
splendido. Sullo sfumare finale di "Trust" il ritmo sembra
abbassarsi, e anche le prime note della successiva "Ostrakon"
sembrano annunciare un attimo di respiro, ma non è così, e quando
la voce di Ruschena torna alla lingua italiana e scandisce le parole
con fare acido ci si rende conto che il rallentamento è soltanto
l'anticamera di nuove scariche di nervosismo.... Sono parole pesanti
e critiche rabbiose quelle rovesciate sul sound schizofrenico del
brano dai Nostri che chiariscono che saranno pure giovani ma certo
non hanno paura a dire "Siamo stanchi del potere, non c'è
rispetto per la candia ignoranza, vale la pena tradire chi si fida di
te!", e fanculo i timori reverenziali! Il cantato inglese è lo
sposalizio perfetto per "B.H.O.O.Q.", distorta e tirata,
con incursioni melodiche spagnoleggianti, una parentesi quasi da
soundtrack Tarantiniana e un finale che definire delirante e
schizofrenico è riduttivo.
Nel finale si torna nuovamente
all'italiano, e che italiano! Per concludere l'album Diego, Daniele e
Pietro hanno tenuto da parte una vera e propria chicca: "Stilnovo"
è un tributo versione hardcore-punk al più celebre sonetto di Cecco
Angiolieri, "S'i' fosse foco, ardere' il mondo", tra i
pilastri della letteratura comico-realista, un dissacrante affronto
alle convenzioni stilistiche del "dolce stil novo", che
faceva della dolcezza e della delicatezza dei versi uno dei suoi
cardini. Uno scritto essenziale per la letteratura italica che già
l'immenso Fabrizio De Andrè aveva musicato in chiave moderna nel
1968 e che torna sottoforma di un poderoso rock da pogo che si
conclude con un vero e proprio delirio strumentale, una chiave forse
non apparentemente consona, eppure il risultato rende giustizia al
coraggio dei Miriam Mellerin, nonchè ovviamente al grande Cecco che
ha scritto un pezzo hardcore con 700 anni di anticipo sui tempi, alla
faccia del precursore!
La sintesi dell'album è tutta qui, in
quest'ultimo pezzo, nel coraggio di portare in un debut album un
sonetto di fine tredicesimo secolo rivisitato in chiave punk, nella
passione e nel talento che trasudano da ogni singolo secondo delle
sette tracce, nella loro capacità di rovesciare nella musica le
nevrosi, i deliri, la rabbia e le sensazioni con la varietà
stilistica giusta, senza restare ancorati ad un solo genere preciso,
ma soprattutto nell'enorme energia di questi tre ragazzi, energia che
loro stessi non risparmiano e che scaricano a suon di watt e ritmi
alti in un esordio davvero coi fiocchi. Un solo consiglio, avanti
così!
Voto: 7,5
Tracklist:
1. Parte di me (Feat. Lady Casanova)
2. Made in Italy
3. Insetti
4. Trust
5. Ostrakon
6. B.H.O.O.Q.
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