Un nuovo amico entra a fare parte della varia umanità che popola questo blog.
Si chiama Roberto e nel web è noto come ROBYDICK,
soldato semplice nello sterminato esercito dei “padri di famiglia
separati”, 47 anni disadorni, indossati da cisposo burbero clochard,
appassionato di cinema e di libri. Ogni tanto quando qualche evento,
anche banale ma in qualche modo toccante, gli porta ispirazione, trova
conforto nello scrivere e nel condividere con gli altri grazie al
meraviglioso editore pubblico, (quasi) senza censure, e gratuito che
è il web.
Come primo post ci regala un brevodramma, già pubblicato tempo fa sul suo blog, molto adatto a questa giornata.
Brevodramma contemporaneo
Inverno 2013, Torino.
Era commovente quella specie di pupazzo di neve, comparso come dal nulla il giorno di Santo Stefano. Nessuno lì a Borgata Vittoria sapeva chi l'avesse allestito in quell'angolo misconosciuto, con una siepe a cerchio ormai solo legno per l'incuria e una piccola panchina stretta tra le sue fitte trame. Dimensioni umane, il pupazzo era seduto, gambe unite, braccia conserte e testa appoggiata di lato. C'era una piccola edicola una volta. Morta l'ultima anziana che vi accendeva ceri alla madonnina questa sparì, forse rubata.
Non era di neve in realtà ma di galaverna, indurita e inspessita dal nebbioso gelo che seguì. Furono giorni bui, come a Santa Lucia. I bambini andavano a giocarci con rispetto, quasi fosse di cristallo, un gioiello da accudire. L'ornarono con sottili rami ricamati, coperte di foglie gelate, per cappello un nido di rondini. Contribuirono a conservarlo, dandogli ogni giorno che passava sempre più forma. Qualche adulto accompagnatore cercò senza successo delle lacrime in quel viso malinconico.
Il gelo lo preservò a lungo, anche dalle speculazioni religiose e il pupazzo rimase un allegro gioco per bambini. Quell'angolo però era molto apprezzato pure dagli adulti che ci andavano apposta, anche senza pargoli da accudire. Era un luogo riposante. Emanava quella calma intima che si trova solo nei cimiteri, dove sei a contatto con un vissuto placato a incolmabile distanza dai bisogni, senza però il triste memento delle lapidi.
I primi raggi di sole di fine gennaio del nuovo anno fecero dimenticare il pupazzo. Il freddo si era attenuato. Un giorno un bimbo ci andò alla siepe, così, per un riflesso. Tornò tutto felice dalla mamma - E' vero, è vero il pupazzo! sembra un angelo che dorme! - e questa corse subito a vedere, con un entusiasmo che fatalmente svanì, come il ghiaccio al sole da quel corpo ancora integro ma in decomposizione. Chiamarono i vigili, fu identificato quindi trasportato a l'obitorio. Era P.L., scapolo, emigrato dalla Calabria 25 anni prima appena maggiorenne. Gli ultimi che l'avevano visto vivo erano i fedeli all'uscita dalla messa natalizia, gli stessi che poi amarono il pupazzo, mentre sul sagrato mendicava spicci avvolto in un cartone.
Morì per assideramento, con indosso la tuta da catena di montaggio e gli scarponi antinfortunistici. Non aveva altro da mettersi ma venne interpretato come un segno di affezione. La Fabbrica Italiana Automobili Torino partecipò con una rappresentanza dirigenziale alle esequie di quel suo ex-operaio, elogiandone la riconoscenza dimostrata all'azienda nonostante da essa venne licenziato l'estate precedente. Atto necessario per "ragioni di opportunità economica, agevolare competitività sul mercato internazionale", così dissero a P.L. chiedendogli un sacrificio e aggiungendo che "licenziavano qualcuno per non licenziare tutti con la chiusura dello stabilimento".
Alla memoria di P.L. titolarono la sala colloqui dell'ufficio del personale, quella che gli operai chiamano "sala della nascita e della morte". Non suona mai così: i mille dialetti della fabbrica ne hanno la loro versione.
E' il luogo che se va bene si vede una volta sola, se va male due. Là si presentano i candidati alle assunzioni e quando occorre, sempre più spesso, vengono convocati gli esuberi.
3 commenti:
Che storia avvincente!
Grazie
grazie a te Cuore, e a L'ORABLU per ospitarmi. ciao
Ottimo disegno di una esasperata ed esasperante realtá.
Ancora grazie, Rob :-)
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