martedì 7 maggio 2013

Quinto potere


Quinto potere
(USA 1976)
Titolo originale: Network
Regia: Sidney Lumet
Sceneggiatura: Paddy Chayefsky
Cast: Peter Finch, William Holden, Faye Dunaway, Robert Duvall, Ned Beatty
Genere: televisivo
Se ti piace guarda anche: The Newsroom, The Truman Show, Good Night, and Good Luck.

La tv è spettacolo. E anche le notizie devono avere un che di spettacolo.
Diana Christensen (Faye Dunaway), Quinto Potere


Immaginate Enrico Mentana che annuncia il suo suicidio in diretta.
Io una cosa del genere me la sono immaginata veramente. Ci sono volte in cui conduce della maratone televisive che durano giornate intere, dedicate spesso a eventi futili come l’elezione del Presidente della Repubblica che tanto non cambiano un bel nulla, e non so come faccia a essere sempre così preparato e professionale, il tutto in diretta, con a malapena qualche pausa per i bisogni corporali.
“Enrico, 60 secondi per fare la pipì e poi sei in onda, che tu abbia finito di farla o meno.”
Certe volte allora ho immaginato che all’improvviso sclerasse e facesse qualcosa di del tutto inaspettato. Ed è quanto capita all’inizio di Quinto potere.

Lo dico subito a scanso di equivoci: Quinto potere non è l’atteso sequel di Quarto potere di Orson Welles. Quei soliti burloni di titolisti italiani vorrebbero farcelo credere e invece no. Anche perché il titolo originale di Quarto potere era Citizen Kane, quello originale di questo è Network. Andando a vedere a livello massmediologico possiamo anche vedere delle connessioni notevoli tra le due pellicole, sebbene l’esordio di Welles fosse qualcosa di più di una riflessione sul mondo dell’editoria e si concentrasse soprattutto sulla figura del cittadino Kane.
In Quinto Potere ci sono dei personaggi molto interessanti, l’attenzione principale, i riflettori della pellicola sono però puntati principalmente sulla televisione. Sul potere della televisione, così come ci si concentra anche in una riflessione sul giornalismo e sull’industria dell’informazione.
Volendo, con The Social Network si passerà al sesto potere, ma direi di lasciare per il momento perdere internet e Facebook e tornare a occuparci di tv.



Cosa conta davvero per un network televisivo?
Garantire prodotti di qualità, offrire una completa informazione giornalistica?
No. Quello che conta sono gli ascolti, dati dal rating negli USA e dall’auditel da noi. Due meccanismi astrusi e complessi il cui reale funzionamento è sconosciuto persino ai loro ideatori. Fatto sta che i dati che escono da questi meccanismi di misurazione sono fondamentali per far andare avanti la vostra serie o il vostro programma tv preferito. Vox populi. Normale che sia così. Per quanto riguarda i telegiornali, la funzione sociale e informativa dovrebbe invece prevalere. Non è così. Non è così già da parecchio tempo e negli USA ciò avveniva ancor prima che nascesse la tv commerciale in Italia.
Tv commerciale in Italia? Diciamo Mediaset e basta, visto che è stata a lungo l’unico competitor della Rai e per i grandi ascolti lo è ancora, con La7, Mtv, Deejay Television, reti satellitari e digitali varie che si contendono giusto le briciole. Negli USA la concorrenza è maggiore, ci sono i network nazionali (ABC, NBC, CBS, Fox e di recente si è aggiunta la rete ggiovane The CW) e poi i vari canali via cavo (HBO, AMC, Showtime, FX, CNN, History Channel, etc.).

Il film Quinto potere ci mostra come già negli anni Settanta la guerra per gli ascolti fosse spietata negli Spietati Uniti attraverso la storia fittizia, ma non così irrealistica, di un anchorman televisivo ormai sul viale del tramonto. Quando gli annunciano che verrà licenziato, lui in diretta televisiva annuncia a sua volta il suo suicidio in programma per la settimana successiva, durante la sua ultima conduzione di un telegiornale. Il fatto ovviamente crea scalpore e riporta il vecchio giornalista sulla cresta dell’onda.
Il medium diventa il messaggio, come Marshall McLuhan insegnava, il giornalista diventa la notizia, così come capitato di recente alla tizia cinese che durante il suo stesso matrimonio ha interrotto la cerimonia per documentare il terremoto che stava capitando in quel momento.


Cosa succede, poi?
Succede che ve lo scoprite da soli, perché la sceneggiatura di questo film è davvero fenomenale e imprevedibile, nonché di notevolissima attualità anche a più di 30 anni di distanza, e anche a chilometri di distanza, considerando come sia una riflessione perfetta pure per il nostro sistema televisivo. Un sistema, preso genialmente per i fondelli nella serie di Maccio Capatonda Mario, dominato da un’informazione che si è sempre più trasformata in infotainment e in cui l’ultimo baluardo del giornalismo vero e proprio rimastoci sembra essere quell’Enrico Mentana di cui si diceva in apertura.

Se a ciò aggiungiamo la regia precisa di Sidney Lumet e delle interpretazioni grandissime, dal protagonista via via sempre più folle Peter Finch a Robert Duvall, fino a un’enorme Faye Dunaway nei panni della direttrice dei programmi senza scrupoli, ci ritroviamo di fronte a una di quelle pellicole che andrebbero proiettate nelle scuole. Di quelle che andrebbero trasmesse una volta all’anno a rete unificate su tutti i canali. Perché che sia il 1976 o il 2013, il potere più grande resta sempre quello. Il quinto potere. La televisione. E per poterlo fermare l’unico modo è quello di vederlo in… televisione.
Ommioddio, non riusciremo mai a fermarla.
NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOooooooooooooooooooooooo


(voto 8,5/10)
Cannibal Kid

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