Quinto
potere
(USA
1976)
Titolo
originale: Network
Regia:
Sidney Lumet
Sceneggiatura:
Paddy Chayefsky
Cast:
Peter Finch, William Holden, Faye Dunaway, Robert Duvall, Ned Beatty
Genere:
televisivo
Se
ti piace guarda anche: The Newsroom,
The Truman Show, Good Night, and Good Luck.
“La
tv è spettacolo. E anche le notizie devono avere un che di
spettacolo.”
Immaginate
Enrico Mentana che annuncia il suo suicidio in diretta.
Io una
cosa del genere me la sono immaginata veramente. Ci sono volte in cui
conduce della maratone televisive che durano giornate intere,
dedicate spesso a eventi futili come l’elezione del Presidente
della Repubblica che tanto non cambiano un bel nulla, e non so come
faccia a essere sempre così preparato e professionale, il tutto in
diretta, con a malapena qualche pausa per i bisogni corporali.
“Enrico,
60 secondi per fare la pipì e poi sei in onda, che tu abbia finito
di farla o meno.”
Certe
volte allora ho immaginato che all’improvviso sclerasse e facesse
qualcosa di del tutto inaspettato. Ed è quanto capita all’inizio
di Quinto potere.
Lo
dico subito a scanso di equivoci: Quinto potere non è l’atteso
sequel di Quarto potere di Orson Welles. Quei soliti burloni di
titolisti italiani vorrebbero farcelo credere e invece no. Anche
perché il titolo originale di Quarto potere era Citizen Kane, quello
originale di questo è Network. Andando a vedere a livello
massmediologico possiamo anche vedere delle connessioni notevoli tra
le due pellicole, sebbene l’esordio di Welles fosse qualcosa di più
di una riflessione sul mondo dell’editoria e si concentrasse
soprattutto sulla figura del cittadino Kane.
In
Quinto Potere ci sono dei personaggi molto interessanti, l’attenzione
principale, i riflettori della pellicola sono però puntati
principalmente sulla televisione. Sul potere della televisione, così
come ci si concentra anche in una riflessione sul giornalismo e
sull’industria dell’informazione.
Volendo,
con The Social Network si passerà al sesto potere, ma direi di
lasciare per il momento perdere internet e Facebook e tornare a
occuparci di tv.
Cosa
conta davvero per un network televisivo?
Garantire
prodotti di qualità, offrire una completa informazione
giornalistica?
No.
Quello che conta sono gli ascolti, dati dal rating negli USA e
dall’auditel da noi. Due meccanismi astrusi e complessi il cui
reale funzionamento è sconosciuto persino ai loro ideatori. Fatto
sta che i dati che escono da questi meccanismi di misurazione sono
fondamentali per far andare avanti la vostra serie o il vostro
programma tv preferito. Vox populi. Normale che sia così. Per quanto
riguarda i telegiornali, la funzione sociale e informativa dovrebbe
invece prevalere. Non è così. Non è così già da parecchio tempo
e negli USA ciò avveniva ancor prima che nascesse la tv commerciale
in Italia.
Tv
commerciale in Italia? Diciamo Mediaset e basta, visto che è stata a
lungo l’unico competitor della Rai e per i grandi ascolti lo è
ancora, con La7, Mtv, Deejay Television, reti satellitari e digitali
varie che si contendono giusto le briciole. Negli USA la concorrenza
è maggiore, ci sono i network nazionali (ABC, NBC, CBS, Fox e di
recente si è aggiunta la rete ggiovane The CW) e poi i vari canali
via cavo (HBO, AMC, Showtime, FX, CNN, History Channel, etc.).
Il
film Quinto potere ci mostra come già negli anni Settanta la guerra
per gli ascolti fosse spietata negli Spietati Uniti attraverso la
storia fittizia, ma non così irrealistica, di un anchorman
televisivo ormai sul viale del tramonto. Quando gli annunciano che
verrà licenziato, lui in diretta televisiva annuncia a sua volta il
suo suicidio in programma per la settimana successiva, durante la sua
ultima conduzione di un telegiornale. Il fatto ovviamente crea
scalpore e riporta il vecchio giornalista sulla cresta dell’onda.
Il
medium diventa il messaggio, come Marshall McLuhan insegnava, il
giornalista diventa la notizia, così come capitato di recente alla
tizia cinese che durante il suo stesso matrimonio ha interrotto la
cerimonia per documentare il terremoto che stava capitando in quel
momento.
Cosa
succede, poi?
Succede
che ve lo scoprite da soli, perché la sceneggiatura di questo film è
davvero fenomenale e imprevedibile, nonché di notevolissima
attualità anche a più di 30 anni di distanza, e anche a chilometri
di distanza, considerando come sia una riflessione perfetta pure per
il nostro sistema televisivo. Un sistema, preso genialmente per i
fondelli nella serie di Maccio Capatonda Mario, dominato da
un’informazione che si è sempre più trasformata in infotainment e
in cui l’ultimo baluardo del giornalismo vero e proprio rimastoci
sembra essere quell’Enrico Mentana di cui si diceva in apertura.
Se a
ciò aggiungiamo la regia precisa di Sidney Lumet e delle
interpretazioni grandissime, dal protagonista via via sempre più
folle Peter Finch a Robert Duvall, fino a un’enorme Faye Dunaway
nei panni della direttrice dei programmi senza scrupoli, ci
ritroviamo di fronte a una di quelle pellicole che andrebbero
proiettate nelle scuole. Di quelle che andrebbero trasmesse una volta
all’anno a rete unificate su tutti i canali. Perché che sia il
1976 o il 2013, il potere più grande resta sempre quello. Il quinto
potere. La televisione. E per poterlo fermare l’unico modo è
quello di vederlo in… televisione.
Ommioddio,
non riusciremo mai a fermarla.
(voto
8,5/10)
Cannibal Kid
Cannibal Kid
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