venerdì 19 luglio 2013

E.K. e il mistero del mammone


Che ci sono persone che dicono sempre che prima si stava meglio, Emilio lo sapeva già da tanto. E non ascoltava nemmeno più, se qualcuno raccontava che prima l’aria era più sana e i buoi avevano teste più grandi, perché il più delle volte non era vero, e queste persone erano solo di quelle che non vogliono mai essere soddisfatte, perché altrimenti sarebbero soddisfatte.”

Quattro milioni di abitanti aveva Berlino e nessuno di loro si interessava a Emilio. Nessuno vuol sapere mai dei problemi degli altri, perché ognuno ha già abbastanza da fare coi propri problemi e i propri piaceri. E quando qualcuno dice ‘mi dispiace davvero’, il più delle volte non intende altro che ‘ma lasciami in pace!’”


Siamo a Berlino negli anni Venti, quando Erich Kästner pubblica il suo primo romanzo per bambini, che ha come piccoli protagonisti Emilio e i detective. Dovrebbe essere un giallo per bambini però c’è qualcosa in più, qualcosa di troppo.
Di Kästner avevo già letto un libro, dal titolo Quando ero bambino, in cui l’autore racconta la sua infanzia fino ai dieci anni o poco più, specifica infatti di non poter andare oltre, altrimenti il libro non potrebbe più essere il racconto di “quando era bambino”, e ha ragione. Racconta della sua infanzia e da un certo punto in poi si concentra molto su sua madre e sul loro rapporto, si capisce che sua madre era per lui molto importante. Come in ogni autobiografia che si rispetti, il protagonista è lui e le sue mani avanti, come se sapesse già che qualcuno avrebbe sollevato obiezioni. Qualcuno avrà detto qualche volta al nostro caro Erich che la sua è stata sicuramente un’infanzia infelice, che era senz’altro insoddisfatto perché povero, e che ha subito dei traumi perché era figlio unico? Non lo so, però lui ci tiene a precisare di aver avuto un’infanzia felice, di aver fatto sempre quello che voleva anche se era povero, e di non aver mai sofferto di solitudine. D’altronde aveva sua madre, gran donna che lui innalza agli onori della gloria, ripetendo nel dettaglio quanto fosse speciale.
Anche in questa autobiografia (ma dovrei dire “racconto della sua infanzia”) si rivolge ai bambini, ai suoi piccoli lettori, spiega loro il suo scrivere, racconta loro la sua vita, fa loro da educatore spiegando qualcuno dei misteri della vita, mettendoli in guardia in qualche modo, ad esempio sul passare del tempo indimenticabile:
“’Da allora sono passati più di 50 anni’, dice obiettivamente il calendario, questo ragioniere vecchio e pelato nell’ufficio della storia, che controlla il conto del tempo e sottolinea, con inchiostro e righello, gli anni bisestili in blu e quelli a inizio secolo in rosso. ‘No!’, grida il ricordo e scuote i riccioli. ‘Era ieri!’, e sorridendo aggiunge piano: ‘O al massimo l’altro ieri’. Chi ha sbagliato?
Entrambi hanno ragione. […] Il nostro ricordo, l’altro modo di misurare il tempo, non ha niente a che fare con il metro e il mese […]. Vecchio è ciò che si è dimenticato. E l’indimenticabile era ieri. L’unità di misura non è l’ora ma il valore.”
Il linguaggio è semplice, i concetti sono quelli di base, ma che si imparano crescendo: che cos’è il tempo, come lo si misura, come se ne diventa vittime; ma ad un certo punto si scopre anche che il proprio metodo di misurazione, quello per così dire “infantile” che si era usato fino ad allora, rimane l’unico davvero valido personalmente.
Del linguaggio semplice dedicato a bambini e ragazzi fanno parte i numerosi “ma questo adesso non c’entra”; dei concetti meno semplici e degli insegnamenti più o meno espliciti, fanno parte alcuni piccoli commenti, come quello che parla della febbre puerperale: “Il dottore Semmelweis è stato chiamato ‘il salvatore delle madri’ e, dalla grande ammirazione, ci si è dimenticati di erigergli dei monumenti. Ma questo non c’entra”. Alcune volte, al suo “ma questo adesso non c’entra” avrei risposto “stavo per dirtelo io”. In questo caso però si parla di qualcuno a cui avrebbero dovuto fare un monumento anziché ammirarlo e basta: proprio quello che succede alle mamme, no?


Come in ogni autobiografia che si rispetti, Erich racconta le origini dei due rami della famiglia, quello paterno e quello materno, motivo per cui trovo sempre noiose le biografie. Si punta sui pregi, senza nascondere i difetti, si trasformano alcuni difetti in presunti pregi, motivo per cui trovo le biografie poco realistiche, sicuramente di parte, in qualche modo insincere, spesso inutili: “Noi Kästner non siamo particolarmente curiosi del grande mondo. Non soffriamo di nostalgia per ciò che è lontano, piuttosto di nostalgia di casa […]. Se noi potessimo portar appresso il letto e la finestra del soggiorno, allora se ne potrebbe forse parlare! […] noi siamo, temo, amici della casa, dell’abitudine e della comodità. E noi abbiamo, accanto a questa ambigua caratteristica, una virtù: siamo incapaci di annoiarci. Una coccinella sul vetro della finestra ci tiene completamente impegnati”.
Trasformare uno sguardo ebete rivolto ad una coccinella su una finestra in una virtù è ammirevole. La mancanza di curiosità viene qui presentata come un difetto, il tono è quasi di scusa, io che sono in parte curiosa non ho mai pensato che non esserlo sia un difetto, così come non riesco a pensare che esserlo sia in assoluto una qualità: dipende da come si mostra e si muove questa curiosità, non dimentichiamoci che la curiosità uccise il gatto. Però non mancano le persone che si reputano curiose e se ne vantano, quasi sottintendendo che chi non lo è sia un poveraccio che deve in qualche modo motivare la sua mancanza di curiosità, scusarsi o difendersi davanti ad un giudice supremo, possibilmente presentando a deporre il medico che ha isolato il gene ereditario vero colpevole. Erich fa di più, lui trova una spiegazione che punta sulla sfida alle emozioni: non sono curioso, ma vuoi mettere avere nostalgia di casa? Non c’è paragone.
Ma perché mai avere nostalgia di casa dovrebbe essere un’abitudine ambigua? Cosa c’è da disambiguare? O è solo per avere un contro peso della virtù di non annoiarsi mai? Qualcuno ha detto forse al piccolo Erich che non essere curiosi è noioso? Che avere nostalgia di casa è ripetitivo? Che è da mammoni??

In modo pacato, Erich sembra approfittare della sua autobiografia, o del racconto della sua infanzia, quale è in realtà, per rispondere fuori dai denti a quanti avevano senz’altro cercato di convincerlo di essere un bambino sfortunato perché figlio unico, e sfrutta il suo essere autore famoso per metterlo nero su bianco pubblicamente. Inizialmente, altri motivi davvero validi a giustificare il seguente passaggio, non ne ho trovati: “Ci sono molte persone giudiziose nel mondo e talvolta hanno ragione. Se hanno ragione quando sostengono che i bambini dovrebbero assolutamente avere fratelli, solo perché altrimenti crescerebbero da soli, verrebbero viziati e rimarrebbero per tutta la vita degli originali, questo non lo so. Anche le persone giudiziose si dovrebbero proteggere dalle generalizzazioni”.
In questo passaggio si ha conferma che il libro si rivolge ai bambini, perché il nostro Erich in sostanza ha gentilmente detto a tutti quelli di cui sopra un bel “fatevi i cazzi vostri”, ma senza dire parolacce o essere offensivo, li chiama anzi “persone giudiziose”.
Dall’intero libro traspare spesso, fino a dichiarazioni più esplicite, il già nominato amore, sconfinante nell’adorazione, per sua madre, così alla fine ho rivalutato la mia prima impressione: forse non è stato Erich ad esser stato oggetto di critiche, d’altronde non è stata colpa sua se è rimasto figlio unico, ma sua madre, e lui intendeva difendere proprio lei da accuse che forse ha sentito scendere a pioggia sulla madre, sputacchiate da altre donne che la mettevano in guardia sui rischi del non avere altri figli. Il piccolo Erich diventato grande può quindi sputare in faccia a tutti i mal pensanti la sua lampante verità: anche se la sua mamma l’ha fatto figlio unico, lui non è cresciuto matto come un cavallo, bensì sano come un pesciolino. ‘Fanculo ai mal pensanti insomma.

Eppure qualche sassolino nella scarpa.. “Volevo fare ginnastica e facevo ginnastica, perché mi divertivo. Non volevo essere né diventare un eroe. E non lo sono nemmeno diventato. Né un eroe finto, né un eroe vero. Conoscete la differenza? Gli eroi finti non hanno paura, perché non hanno fantasia. Sono stupidi e non hanno coraggio. I veri eroi hanno paura e la superano.” Disse lo sfigato che aveva capito tutto della vita. Ora qualcuno potrebbe pensare che io ce l’abbia in qualche modo con Erich, ma non è del tutto così. Esatto, non del tutto, solo in parte. Mi piace il suo linguaggio semplice, il fatto che si rivolga ai bambini e gli spieghi un po’ di cose, è molto attuale nonostante sia da considerarsi oramai del secolo scorso. La storiella scorre lieve e mentre la leggevo pensavo a mia madre, perciò ho comprato un’altra copia del libro e gliel’ho regalata, perché è esattamente il tipo di storia che piace a lei: buonista e madre-centrica. Erich potrebbe essere il figlio devoto che non ha mai avuto. Io infatti sono contraria a qualsiasi forma di devozione e adorazione. Povera donna.
Il buonismo di Erich, e il fatto che ripeta quanto fosse forte, coraggiosa, lavoratrice sua madre, anche alla luce dei tempi che erano, mi ha infastidita, questo è chiaro. Le ripetizioni mi infastidiscono. L’abbiamo capito, Erich, che tua madre era fantastica, come tutte le mamme, ma tu sei un bambino speciale che non dimenticherà mai quanto la sua mamma fosse speciale, prenderemo tutti esempio da te. Io ad esempio, a distanza di anni dalla mia infanzia, ho regalato a mia madre il figlio devoto che non ha mai avuto. In formato tascabile.


Adesso potete immaginare con quale disappunto abbia letto il primo capitolo del giallo per bambini in cui il piccolo Emilio è tanto affezionato alla mamma, l’aiuta in tutto, cerca di essere buono e di risparmiare perché sono poveri e la mamma lavora tanto e non si merita che lui sia disubbidiente perché se non fosse per lei.. La mamma di Emilio e quella di Erich sono incredibilmente simili: pure lo stesso lavoro! Il primo capitolo mi ha dato sui nervi, che giallo è un libro buonista con un bambino che ripete che la mamma si sacrifica eccetera? Non muore nessuno? Emilio è un ometto tanto buono e ubbidiente, però, finché sul treno per Berlino non gli rubano i soldi faticosamente guadagnati dalla mamma e che lui doveva portare alla nonna, allora s’incazza e decide di smascherare il ladro, improvvisando un po’. Ma è quando incontra Gustavo, un bambino berlinese, che la storia si smuove davvero.


Gli incontri con gli sconosciuti capitano a tutti, quando poi si arriva da una cittadina di provincia nella grande Berlino e l’incontro avviene con un bambino di città dal linguaggio impertinente, si può sfociare in uno scontro. La sfida a fare a pugni viene lanciata subito, perché Gustavo non manca di prendere in giro Emilio per il suo “abito buono”. Ma subito dopo nasce una collaborazione, perché la storia che racconta Emilio è fichissima e Gustavo non può fare a meno di offrire il suo aiuto, anzi il suo e quello di tutti quelli che riesce a trovare. E così riunisce una ventina di altri bambini, il capo dei quali è chiamato il Professore, ed è lui che dà gli ordini: è una missione vera e propria, recuperare i soldi di Emilio e punire il ladro. Il Professore delinea la strategia e divide i compiti, c’è chi resterà di guardia, chi procurerà qualche moneta per eventuali spostamenti in tram, chi procurerà da mangiare, chi avvertirà le famiglie che loro faranno tardi o che tizio rimarrà a dormire da caio che però dormirà da sempronio eccetera. Un compito delicato avranno soprattutto quelli che in casa hanno un telefono, necessario per le comunicazioni a distanza: una staffetta porterà l’ambasciata in entrata e in uscita dalla casa del centralinista. Tutti i bambini sono entusiasti della loro missione, ma anche serissimi nel loro compito. Un altro ambasciatore andrà a casa della nonna di Emilio, che sta per chiamare la polizia perché lui non è arrivato alla stazione col treno regionale come previsto, per rassicurarla. Uno dei personaggi più impertinenti e simpatici è la cugina di Emilio, che si aggrega e fa pure qualche battuta sul ruolo delle donne (portare cibo ai detective senza poter partecipare alle indagini), ma senza dar troppo peso alla cosa.
E all’improvviso, finalmente, l’onnipresente Erich scompare per lasciare spazio a Emilio e ai detective e alle loro mosse per smascherare il ladro. È come se nel descrivere i vari personaggi e le situazioni Erich riuscisse ad essere un neonato ma promettente autore di gialli per bambini, mentre quando deve descrivere Emilio, ritornasse il bambino sfigato e bisognoso di difendere il suo buonismo che era. Tutto fila, nulla stona, tutto è realistico nella sua semplicità, tutto è a portata di bambino, delle sue curiosità, delle sue fantasie: a chi non piacerebbe fare il detective e acciuffare un manigoldo? Mi ha ricordato la mia infanzia, i giochi per strada, gli inseguimenti, i nascondigli, le trame, le risoluzioni, cosa non ci si inventava!
Non mancano però, visto il personaggio che è ‘sto autore, le incursioni buoniste, come il discorso fra bambini sul comportamento dei propri genitori, più o meno permissivi: sant’Emilio, proprio come il piccolo Erich, adora la sua mamma e non solo la aiuta, ma si priva eroicamente di mezz’ora di gioco per cenare con lei e non lasciarla mai sola, come dire che questa donna ha sempre il figlio in mezzo ai coglioni, anche quando gli dà il permesso di star fuori più a lungo, lui zac!, torna a casa prima del previsto. Anche quando gli dà i soldi per comprarsi quello che vuole, lui no!, non li spende perché la mamma li ha guadagnati col sudore della sua fronte, povera donna coraggiosa.
Emilio lo spiega al Professore, che gli ha chiesto se sua madre è severa:
Mia madre? Neanche per sogno: lei mi permette tutto. Ma io non lo faccio, capisci?”
No”, disse il Professore con sincerità, “non lo capisco.”
E Emilio che vien dalla campagna spiega al bambino di città come va il mondo:
Allora, ascolta. Avete molti soldi?”
Questo non lo so. A casa non parliamo molto di queste cose.”
Secondo me, quando a casa non si parla molto di soldi, significa che se ne hanno molti.”
Il Professore rifletté un attimo poi disse: “È possibile.”
Vedi? Io e mia mamma parliamo spesso di soldi, perché noi ne abbiamo pochi […]. Ma quando facciamo una gita con la scuola, mia mamma mi dà gli stessi soldi che ricevono gli altri ragazzi. Qualche volta addirittura di più. […] E io gliene riporto la metà.”
Te lo dice lei?”
Certo che no! Lo voglio io!”
Emilio però, a contatto coi nuovi amici berlinesi, diventa pure simpatico. Quando non parla di sua madre, intendo. Ha idee, ma tutti ne hanno. Prende decisioni, ma le più importanti le lascia al Professore. È buono, sì, quindi ringrazia tutti, ma se deve sfidare qualcuno a fare a pugni lo fa subito. A volte sembra un vero bambino fantasioso e non il guru dei rapporti di famiglia. Ognuno dei piccoli detective ha il suo momento di gloria, e alla fine del romanzo ci pensa la nonna a dare un po’ di gloria anche all’unico che era stato dimenticato, in modo da non mancare all’appuntamento buonista finale.



Una volta acciuffato il ladro (e non vi dico come, se non che l’idea è infantile e geniale come tutto il resto), il romanzo sarebbe dovuto finire ma no, Erich non è soddisfatto se non edifica un bel monumento a lui e a sua madre, e cosa si inventa per ricordarmi che l’autore del giallo per bambini è proprio lui? Innanzitutto fa ricomparire un personaggio che era solo una comparsa che ha fatto una buona azione dimenticabile (come tutte le buone azioni), e indovinate come fa di nome questo personaggio? Kästner, guarda caso. Il più buono di tutti, la sua mamma sarà contenta, ci scommetto. Quando Emilio lo incontra la prima volta ha luogo la prima e unica sfida portata a termine del romanzo (esatto, la sfida ai pugni non avrà luogo): Emilio cerca di essere più buono dello sconosciuto, ma lo sconosciuto, che è adulto e ha anni di esperienza sul groppone come unico buono di turno anche nei festivi resiste e vince la partita. Ed è buono nonostante sia un giornalista curioso! È cresciuto proprio bene, educato e rispettoso, il nostro Erich, complimenti alla mamma.
Poi c’è l’evitabile sorpresa del premio: un'altra occasione di scrivere qualche capitolo in meno sprecata. Bastavano i complimenti del commissario? Certo che no, ci voleva la taglia sul malandrino. E perché ci voleva? Non indovinate? Ma per aiutare economicamente la povera mamma che lavora tanto e dare occasione al piccolo Erich, alias Emilio, di mostrare tutta la sua abnegazione! E senza dover aspettare anni e anni di diventare uno scrittore famoso e di veder pure bruciati i suoi libri dai nazisti.
Perciò, se dei 18 piccoli capitoli elimino l’1 e il 2, la fine del 15 quando il benefattore misterioso si rivela un giornalista e invita Emilio e i suoi amici detective a pranzo e insiste e non si leva di torno, neanche fosse uno spasimante della mamma desideroso di fare bella figura, e i capitoli 16, 17 e 18, posso dire che questo giallo per bambini è davvero bello, nella sua semplicità. Voglio dire: anche se non muore nessuno.


Erich Kästner:
Quando ero bambino, tradotto da Elisabetta Terigi
Emil und die Detective, illustrato da Walter Trier (le citazioni le ho tradotte io)

Elle

3 commenti:

Alligatore ha detto...

Allora anche i tedeschi sono mammoni ;)

Elle ha detto...

E della peggior specie ;)

Dennis Reinmueller ha detto...

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