Solo Dio perdona - Only God Forgives
(Francia, Thailandia, USA, Svezia 2013)
Titolo
originale: Only God Forgives
Regia:
Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura:
Nicolas Winding Refn
Cast:
Ryan Gosling, Vithaya Pansringarm, Kristin Scott Thomas, Tom Burke,
Yayaying Rhatha Phongam, Gordon Brown, Charlie Ruedpokanon, Byron
Gibson
Genere:
refnerenziale
Se
ti piace guarda anche: Oldboy, V per vendetta, Kill Bill
Solo
Dio perdona, recita il titolo della pellicola di cui parlo
quest’oggi.
Non è
mica vero. Anche io perdono. Perdono al regista Nicolas Winding Refn
di aver creato una delle pellicole più noiose nella storia
dell’umanità, Valhalla Rising. L’ho perdonato a tal punto da
essere riuscito a dimenticare quella batosta di film e adorare
completamente il suo lavoro successivo, Drive. Così come perdono
Ryan Gosling per aver raggiunto la grande fama con uno dei film più
smielati degli anni recenti, ovvero Le pagine della nostra vita, e
perdono a Kristin Scott Thomas di aver fatto parte di un’altra
delle più grandi lagne del cinema mondiale, Il paziente inglese.
Io
perdono, sì quel che è fatto è fatto io però chiedo scusa,
regalami un sorriso io ti porgo una rosa, su questa amicizia nuova
pace si posa, perché so come sono infatti chiedo perdono, sì quel
che è fatto è fatto io però chiedo scusa, per quelle rare volte in
cui posso aver scritto delle cazzate, o recensito un film
frettolosamente, o ancora aver consigliato una pellicola per me
bellissima e che voi invece avete poi trovato una schifezza. In
questo caso, io consiglio di dare un’occhiata a Solo Dio perdona,
però non vi posso assicurare che vi piacerà. È un film
particolare, molto ma molto Refn. Se vi aspettate un nuovo cult
totale come era stato Drive, resterete inevitabilmente delusi. Anche
chi ha apprezzato questo suo ultimo sforzo, non può considerarlo al
livello del suo illustre predecessore. Gli manca qualcosa. Gli manca
la stessa forza emotiva che guidava Drive. Qui il danese è ritornato
alla sua glaciale freddezza abituale. In compenso, dentro Solo Dio
perdona ci si può ritrovare tutto il suo cinema. Come nella trilogia
di Pusher, abbiamo di nuovo a che fare con uno spacciatore (l’attore
feticcio di Refn, Ryan Gosling), sebbene la sua professione venga
solamente menzionata a parole ma non esercitata nei fatti. Come nella
trilogia che ha lanciato il regista, anche qui abbiamo poi una
situazione famigliare particolare e intricata. Il fratello di Ryan
Gosling non può essere certo definito una personcina a modo e, dopo
aver stuprato e ucciso una ragazzina di 16 anni, viene a sua volta
brutalmente fatto fuori dal padre della ragazza, con la complicità
di un agente di polizia (l’inquietante e impronunciabile Vithaya
Pansringarm).
A
questo punto, arriva in città, ovvero Bangkok in Thailandia, la
madre dei due ragazzi, una idolesca Kristin Scott Thomas. È lei il
personaggio più loquace di un film altrimenti quasi muto ed è lei a
tirare fuori le battute più divertenti di un film violento,
durissimo, ma che a sorpresa in alcuni momenti sa persino far ridere.
Ed è lei a gridare vendetta per la morte del figlio Billy (Tom
Burke).
Solo
Dio perdona. Non è vero. Anche Ryan Gosling era pronto a perdonare
la morte del fratello, certo non un santo, per mano del padre della
ragazza uccisa.
Ryan
Gosling: “Billy ha stuprato e ucciso una ragazzina di 16 anni.”
Kristin
Scott Thomas: “Avrà avuto le sue ragioni.”
Tutti
gli altri personaggi della pellicola invece tengono fede al titolo e
di perdonare non ne vogliono sapere, tanto da trasformare la vicenda
in una faida infinita, per una delle più sanguinarie rassegne
vendicative viste su schermo dai tempi del doppio volume di Kill Bill
e della trilogia della vendetta di Park Chan-wook.
Oltre
a questo gioco al massacro, c’è qualcos’altro?
Eh,
insomma. Refn ha dipinto la sua pellicola visivamente più bella,
Drive escluso, ma a livello di contenuti e di profondità nella
costruzione dei personaggi, la sceneggiatura mostra qualche lacuna.
Siamo alle solite. Il danese a livello di regia è impeccabile, non
gli si può dire niente, come autore di script invece ha ancora ampi
margini di miglioramento. Niente che meriti come punizione
l’amputazione delle mani, come avviene nel film, però poteva
azzardare anche qualcosa in più sulle psicologie dei suoi
protagonisti. Il personaggio di Ryan Gosling, in particolare, ci
viene mostrato qua e là con qualche sprazzo di umanità, subito dopo
negato, cosa che impedisce un vero avvicinamento empatico come invece
capitava con l’autista quasi autistico Driver di Drive,
probabilmente il più umano, seppure a suo modo, tra tutti i
personaggi dell’universo refniano (che poi si dirà refniano o
refnaniano?).
Spettacolare
senza riserve è invece Kristin Scott Thomas, più sexy e sboccata
che mai, una MILFona con i controcazzi che illumina il film e che
avrebbe meritato uno spazio ulteriore. Refn però gioca a fare il
bastardo, proprio come il personaggio interpretato da Ryan Gosling.
Ci fa intravedere attimi di poetica violenza, di brutale bellezza e
poi, poi tira indietro la mano. Quando il film sembra dover crescere,
raggiungere il suo climax, si spegne. Magari sbaglio io, ma la parte
finale, nonostante il suo simbolismo, mi sembra un po’ affrettata.
Forse per questo che a Cannes sono piovuti tanti fischi nei confronti
della pellicola, dopo gli applausi per Drive.
Un’accoglienza
che ricorda quella riservata a Terrence Malick, passato dalla Palma
d’Oro per The Tree of Life agli sberleffi dei critici riservati a
To the Wonder. Questo Solo Dio perdona è un po’ il To the Wonder
di Refn: una pellicola che è quasi un esercizio di stile ed è molto
autoreferenziale, anzi refnerenziale. Se Drive era un film
indipendente, che poteva essere compreso e amato anche da chi non
aveva la più pallida idea di chi Refn fosse, Solo Dio perdona appare
più come un tassello che per essere decifrato in pieno va collocato
all’interno della sua filmografia. Come detto prima, si ritorna
dalle parti della trilogia di Pusher, ma c’è anche qualche lampo
di ironia come in Bleeder, c’è la lentezza esasperante di Valhalla
Rising, i corridoi, gli spazi claustrofobici e le sequenze visionarie
di Fear X, le accelerazioni di ultraviolenza di Bronson e Drive.
Non
solo un remix delle sue pellicole precedenti, comunque. Refn tenta
inoltre di proporre uno stile differente, più orientaleggiante,
ancor più simbolico che in passato, cosa che rende la sua
decodificazione un’impresa non semplice. Si tratta di una pellicola
da una parte dalla sceneggiatura semplicissima e dai dialoghi minimal
quasi inesistenti, dall’altra è un film profondo e complesso,
criptico e difficile, proprio come To the Wonder, e che, in maniera
analoga, sa accendersi e donarci lampi di bellezza assoluti e di
grande cinema, grazie anche alle atmosfere sonore costruite da un
Cliff Martinez che ormai si conferma tra i compositori di musica per
il cinema più in forma del momento. In aggiunta ai suoi brani, ci
sono un paio di canzoni thai al karaoke, che rappresentano i momenti
emotivamente più forti di un film anoressico, da un punto di vista
sentimentale. Una caratteristica non nuova, all’interno del cinema
di Refn. Dimenticatevi quindi la “scena dell’ascensore” di
Drive. Qui al massimo potrete trovare la sequenza di una tipa che si
masturba davanti a Gosling legato a una sedia. Il vertice del
romanticismo di questo spietato Solo Dio perdona.
Il
finale non sarà il massimo, non tutto sembra girare al meglio,
mancano quei dettagli in grado di trasformarlo in un cult come Drive,
l’insieme risulta persino troppo freddo, ma per il resto si tratta
di una pellicola visivamente notevolissima, in grado di ritrarre una
Bangkok desolata e priva di umanità. Una visione buona, a tratti
persino splendida, cui si può anche perdonare qualche difettuccio.
Perché non è vero che Solo Dio perdona. Anche io lo posso fare.
O
forse ciò significa che io sono come Dio?
(voto 7,5/10)
Nessun commento:
Posta un commento