Questa è la storia vera di un
amore condiviso.
Mi innamorai la prima volta che sentii
quelle note. Era una chitarra, credo, forse un banjo, non lo so, io
non me ne intendo. Suonava, questo conta, ed io mi lasciai rapire..
ah, ecco il violino. O cos’era. E poi quella piccola pausa per
riprendere fiato, entrava un altro strumento in scena, più cupo, che
tracciava la linea della malinconia, tornava il violino, o cos’era,
la chitarra non abbandonava, anzi.. ora attaccava seriamente. Ora
iniziava davvero.
L’ascoltavo mille volte al giorno, mi
sembrava impossibile che fosse stata composta una canzone così
bella, la mia canzone. Faceva parte di un album che avevano degli
amici miei, persone che frequentavo così, solo perché mi lasciavano
entrare. Credo lo facessero perché non parlavo molto, ero per loro
come una sorellina piccola che stava seduta in un angolo buona buona
a disegnare. Non disegnavo, ma ascoltavo, affascinata dai loro
discorsi rivoluzionari, avrei voluto essere come loro. Da grande.
C’erano le cassette, allora, e si
usava registrarci i dischi per farli girare, uno dei ragazzi ne fece
una copia per una ragazza che gli piaceva, le disse che doveva
assolutamente ascoltarlo che lui era un genio, un rivoluzionario, uno
che vedeva lontano. Establishment, le diceva, ti rendi conto che
prima d’ora questa parola qui da noi non esisteva? Lei però ce
l’aveva con lui per qualcosa che era successa nel gruppo e non
volle la cassetta, che rimase lì. Io la vidi, lui mi mostrò il
vinile originale, ai tempi ancora rarissimo, e mi spiegò che era un
genio, non si sapeva come fosse arrivato, non si sapeva proprio nulla
di lui, ma cantava delle grandi verità. Da quando l’aveva sentito,
ogni volta che esponeva una sua teoria, e voleva aver ragione,
ripeteva “and that's a concrete cold fact”. Era quasi il suo
motto.
Woke up this morning with an ache in my
head
I Splashed on my clothes as I spilled
out of bed
I Opened the window to listen to the
news
But all I heard was the Establishment's
Blues.
Gun sales are soaring, housewives find
life boring
Divorce the only answer smoking causes
cancer
This system's gonna fall soon, to an
angry young tune
And that's a concrete cold fact. (6)
Anche allora, come tante volte dopo, la
mia vita cambiò per via di un regalo che era destinato ad un’altra.
A quegli incontri io arrivavo sempre la sera tardi, quando le ragazze
erano state accompagnate a casa, e i ragazzi, tornati soli,
iniziavano a parlare di politica. Se i miei avessero saputo che non
ero lì per coltivare il mio giardino di perbenismo sociale, né per
studiare, me le avrebbero date di santa ragione. Io però ero lì per
imparare, e dopo quella volta che presi uno schiaffo da mio padre
perché avevo ripetuto, a tavola per di più, una frase contro il
governo che avevo sentito dai ragazzi, imparai ad evitare di esporre
in famiglia quelle che, lentamente, stavano diventando le mie idee. O
almeno, questo, lo speravo. In realtà ero in qualche modo intimorita
da quei discorsi rivoluzionari, anche perché da varie parti
cominciavano a concretizzarsi in lotte, eppure avrei voluto essere
così anche io. Così coraggiosa. Ascoltavo, i discorsi e la musica,
la musica di quel rivoluzionario, e questo mi affascinava
immensamente: sono nata negli anni Sessanta, a quei tempi le famiglie
bianche cercavano di apparire per bene, anche le povere, era molto
importante per distinguersi dai neri, sono cresciuta con la
consapevolezza che questa distinzione era sbagliata, perché i miei
genitori mi insegnarono che davanti a dio siamo tutti uguali, eppure
nella vita di tutti i giorni anche loro si adeguavano alle leggi
razziali, e se da un lato essere bianca era un vantaggio che mi
sembrava regalato, dall’altro odiavo i miei perché non prendevano
posizione contro i neri, ma neppure contro il governo, anche se a
casa, con mezze frasi, il governo lo criticavano. Ma andare contro il
governo significava la prigione, alcuni ragazzi di quelli che
frequentavo ci erano finiti solo perché avevano suonato in un gruppo
che cantava canzoni sospettate di essere comuniste. Per questo io
avevo paura e non scesi mai in strada a protestare. Ma questo
successe dopo. Quand’ero piccola vivevo in un limbo di incoscienza,
non capivo da che parte dovevo stare, e così rimasi affascinata da
quei ragazzi conosciuti una sera d’estate, perché loro ebbero il
coraggio di schierarsi, appartenevano a quella minoranza di bianchi
che non approvava l’apartheid e che voleva fare qualcosa per
cambiare la situazione in Sudafrica. Io invece passavo ogni notte in
loro compagnia prima di tutto per stare lontana da casa. Anche per
questo, quel disco, mi conquistò subito, mi sembrava parlasse di me,
in qualche modo. O di come avrei voluto essere. Se ne avessi avuto il
coraggio.
Street boy
You've been out too long
Street boy
Ain't you got enough sense to go home
Street boy
You're gonna end up alone
You need some love and understanding
Not that dead-end life you're planning
Street boy
You go home but you can't stay
Because something's always pulling you
away
Your fast hellos and quick goodbyes
You're just a street boy
With the streetlights in your eyes
You better get yourself together
Look for something better. (11)
Conosco ogni canzone a memoria, e
quando le riascolto sento un groppo di.. di nostalgia inaspettata,
erano altri tempi e un po’ li avevo scordati. I bianchi hanno
questo difetto.
Normalmente si acquista la colonna
sonora di un film, perché si è visto il film e la sua musica è
piaciuta. Io questa volta sono andata al cinema per sentire di nuovo
“dal vivo” una scaletta di canzoni che conosco come se le avessi
scritte io, è da mesi che ascolto l’album della colonna sonora, ed
è da una vita che ascolto i due album da cui sono tratte quelle
canzoni. Ero seduta in una sala da venticinque posti in un cinema di
periferia a Berlino, e aspettavo di incontrare il mio passato,
aspettavo la colonna sonora della mia vita.
Ed è stato un po’ come tornare a
quel concerto, solo che non era un concerto, era un docu-film che mi
ha riportato indietro nel tempo, agli anni Settanta, alla mia
giovinezza, a quei pazzi impegnati dei miei amici che bevevano, si
drogavano, facevano politica, e affollavano le strade con gli
striscioni, le prendevano dalla polizia militare, finivano in
prigione, forse venivano anche torturati, non volli mai saperlo, e
siccome venivo trattata come la sorellina piccola, nessuno me ne
parlò mai esplicitamente: a me veniva raccontata l’opposizione
pulita, quella fatta di parole, io al massimo aiutavo a scrivere le
frasi sugli striscioni, controllavo l’ortografia e mi guadagnavo
carezze sulla testa da parte di tutti. E non credevo di poter fare di
più.
Non credevo, allora, di essere brava
con le parole, perché sapevo che esistono persone che cantano
perfettamente la verità in faccia a tutti. Una verità semplice, “a
concrete cold fact”. Ecco a chi avrei voluto assomigliare io. Da
grande.
And you claim you got something going
Something you call unique
But I've seen your self-pity showing
And the tears rolled down your cheeks.
And you assume you got something to
offer
Secrets shiny and new
But how much of you is repetition
That you didn't whisper to him too. (2)
Anche per questo mi innamorai di lui.
Della sua musica prima di tutto, perché
io avevo sempre creduto nel potere della sola musica, poi, grazie a
quegli amici che lo vedevano come un dio potente, venni raggiunta
anche dalle sue parole, e mi rinnamorai di lui, perché a quel punto
oltre che romantico, mi sembrò anche intelligente. Com’ero
innocente.
Nessuno sapeva come fosse arrivato in
Sudafrica, qualcuno portò il primo vinile, di un primo album, che
subito spopolò proprio per i suoi contenuti, testi così innovativi
e lungimiranti, così veri e coraggiosi, non se ne erano mai sentiti
dal dopoguerra, la censura era molto severa, alcuni argomenti, come
il sesso e le droghe, erano assolutamente proibiti. Ma non solo
questi. Dall’estero non poteva entrare nulla che non fosse stato
preventivamente approvato, e quando il disco di Rodriguez iniziò ad
avere successo e a diffondersi, venne subito sequestrato. Sin
dall’inizio era stato difficile trovarlo, nessun negozio di dischi
lo aveva, ricordo ancora le ricerche disperate, che si concludevano
sempre con l’ennesima cassetta registrata, perché il disco era
introvabile. Questo aumentava il suo fascino. Poi le copie arrivarono
e tempo dopo, non ricordo quanto dopo, cominciò a circolare anche un
secondo disco. Nel primo c’era una foto in copertina, un hippie coi
capelli lunghi e gli occhiali da sole, "un’americanata",
come diceva mio padre delle cose d’oltreoceano, ma Rodriguez era
considerato un rivoluzionario anche per questo: era psichedelico.
Secondo me era grezzo e basta, non era quella foto ad attirarmi,
bensì la sua musica. La copertina del secondo album mi piacque di
più, portava sempre gli occhiali da sole, ma sembrava più umano, o
meno drogato, perché è seduto sui gradini di una casa.
Questo album riuscii a procurarmelo
originale sin da subito, in fondo le amicizie nell’ambiente non mi
mancavano, perché volevo quella copertina, quella foto. Io, se
guardavo solo la foto, inizialmente non ci vedevo un genio, ma un
ragazzo come me, avrà avuto allora la mia età, soprattutto quando
cantava “cause the sweetest kiss I ever got is the one I've never
tasted” (3) pensavo che fosse uno come me, uno come noi che, però,
cavoli se sapeva parlare! Se guardavo solo la copertina, alla fine
pensavo anche io che era proprio un genio, un ragazzino così aver
scritto certe cose.. e averle messe in musica in maniera così..
sublime.
Ascoltavo e riascoltavo le sue canzoni
e mi chiedevo se anche io un giorno sarei diventata come lui. Lo
speravo proprio...
Born in the troubled city
In Rock and Roll, USA
In the shadow of the tallest building
I vowed I would break away
Listened to the Sunday actors
But all they would ever say
That you can't get away from it
No you can't get away
No you can't get away from it
No you can't get away. (7)
Volevo essere come Rodriguez, perché
lui era riuscito ad andar via, aveva solcato l’oceano ed era
arrivato sino a me, a noi. Ce l’aveva fatta, aveva diffuso le sue
parole, la sua musica, nel nostro mondo chiuso. E aveva contribuito
un po’ a cambiarlo, perché ci aveva dato la convinzione di poterlo
fare.
Col suo arrivo a Città del Capo,
diverse band di bianchi cominciarono ad ispirarsi a lui per la loro
musica di protesta, anche band che suonavano altri generi musicali,
era come se lui avesse spiegato loro quali parole usare, e come
usarle, per farsi sentire.
Contemporaneamente molti fan iniziarono
la ricerca disperata di altri suoi album. Pareva esistessero solo
questi due, perciò si diffusero presto anche ipotesi
sull’interruzione della sua carriera. Le più accreditate volevano
una morte spettacolare, una morte sul palco, una morte simbolica ma
allo stesso tempo molto triste, secondo me: si diceva infatti che, in
occasione di un concerto andato malissimo, si fosse sparato un colpo
alla testa, davanti al suo pubblico, oppure che si fosse dato fuoco
con la benzina, sul palco. Queste ipotesi che, per l’epoca, non
erano poi così assurde, visto che sul palco ai grandi concerti
succedeva di tutto, contribuirono ad alimentare la curiosità sulla
sua morte: era scomparso, questo era certo, ma come? Allo stesso
tempo non saperlo accresceva il mito. Anche la censura ebbe presto la
sua parte, perché i testi di alcune sue canzoni erano troppo
espliciti, ad esempio Sugar Man faceva senz’altro riferimento alle
droghe, e questo non era accettabile. Le copie dei dischi vennero
sequestrate dai negozi e marchiate prima di essere rimesse in
circolazione: sul retro della copertina, sul testo della canzone
venne scritto “avoid” e poi sui vinili venne raschiato il punto
corrispondente alla traccia. Naturalmente appena si sparse la voce,
tutti cercarono di avere il disco, soprattutto i giovani andavano
matti per le cose proibite. Una sera a tavola ne parlarono pure i
miei, “quel drogato”, disse mio padre, e se avesse saputo che io
ero una dei contrabbandieri che registrava su cassetta il disco per
gli amici degli amici mi avrebbe buttata in mare con una pietra al
collo.
Sugar man, won't you hurry
'Cos I'm tired of these scenes
For a blue coin won't you bring back
All those colors to my dreams
Silver magic ships you carry
Jumpers, coke, sweet Mary Jane. (1)
Passarono gli anni e Rodriguez rimase
sempre un mito. In ogni casa che si rispettasse dal punto di vista
musicale c’erano tre dischi, pietre miliari dei Settanta a Città
del Capo: Beatles, Rolling Stones e Cold Fact di Rodriguez. Il titolo
dell’album dei Beatles non lo ricordo, non m’avevano mai detto
molto quei sbarbatelli; i Rolling Stones non li conoscevo neppure,
forse una canzone senza sapere chi fossero; ma Cold Fact!
Di Cold Fact ricordo ancora il giorno
in cui finalmente comprai il vinile originale (ma non buttai mai la
cassetta che registrò il mio amico per quella ragazza), e quando
venne pubblicato il cd, oramai lavoravo ero adulta e potevo
acquistarne tutte le copie che volevo. Più lo ascoltavo più mi
sembrava di scovarci nuovi significati, sfumature nascoste, o forse
semplicemente il mio senso dell’interpretazione cresceva con me, e
con quelle parole sempre in testa, e le reinterpretava e riadattava a
qualunque aspetto del mio modo di essere. Passarono gli anni, e le
nuove generazioni ancora crescevano e sperimentavano sulle note
psichedeliche di Sugar Man. Eppure ancora nessuno sapeva nulla di
lui. Sul libretto del cd, comparve una frase che diceva tutto, ovvero
dichiarava il nulla: non si hanno molte informazioni su Rodriguez, se
qualche fan vuol giocare al detective si faccia avanti.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/c/c0/Rodriguezcoldfact.jpg
Un mistero affascinantissimo. Un
fantasma. Un genio scomparso nel nulla. Le informazioni riportate sui
primi vinili erano inutili, neppure il nome era univoco: Rodriguez
sulla copertina, Sixto Rodriguez sul disco, combinazioni di Sixto,
Jesus e Rodriguez per le singole canzoni: da chi erano state scritte,
in definitiva? Compariva anche un certo Rod Riguez. Nei testi delle
canzoni, poi, i riferimenti a città e luoghi erano diversi e
fuorvianti, si andava dagli Stati Uniti all’Europa, ma nemmeno lì
nessuno aveva mai sentito nominare Rodriguez o i suoi album. C’era
però la casa discografica statunitense, e seppi poi che davvero un
fan si offrì volontario, e fra le altre cose contattò anche la casa
discografica: in fondo, se in Sudafrica erano stati venduti milioni
di copie del disco, i soldi dovevano essere pur andati a qualcuno,
no? Un erede o chi per lui. Ma questa pista risultò una porta
sbattuta in faccia, cosa che insospettì tutti. Con l’avvento di
internet venne pure creato un sito dedicato, Searching for Sugar Man,
con la foto delle copertine degli unici due dischi noti, in modo che
se qualcuno l’avesse riconosciuto, avrebbe potuto informare i suoi
milioni di fan in Sudafrica.
Mi capitava di sentir parlare di queste ricerche, ci si scambiavano le informazioni. Io ero combattuta tra la curiosità di saperne di più sul mio amore, e il non voler sapere altro, in fondo se fino ad allora era riuscito a conquistare un intero Paese pur rimanendo sconosciuto, forse conoscere i dettagli ci avrebbe deluso, no? Avevo paura che mi crollasse un mito.
Fino alla svolta: venne rintracciato
uno dei produttori dei dischi di Rodriguez, che raccontò una storia
tristissima di un genio che scriveva canzoni bellissime e impegnate
che nemmeno Bob Dylan (o forse solo lui fino ad allora), disse che
erano riusciti a procurargli un contratto con una importante casa
discografica, ma che i suoi dischi non ebbero successo: incredibile,
aveva il potenziale, ma non aveva un pubblico, disse, non capimmo mai
perché i suoi dischi furono un flop, perché era semplicemente
magnifico. E raccontò, scuotendo la testa, la storia tristissima del
conseguente abbandono delle scene di Rodriguez, ma alla domanda su
come fosse morto si fece una gran risata. Rodriguez è vivo. Nessuno
ci credette. Poi, sul forum del sito una frase, un numero di telefono
e, dopo, una telefonata, e quella voce inconfondibile. Allora ero già
un po’ fuori dal giro, la vita va così, ma riuscii comunque ad
essere fra le prime a ricevere la notizia, tramite degli altri amici
appassionati che avevano collaborato indirettamente alla ricerca, e
per un attimo mi mancò il respiro.
Era vivo.
Dopo fu tutto un turbinare, di cui mi arrivarono solo notizie sparse, fino a quella più importante: Rodriguez in persona, vivo più che mai, aveva accettato di venire a Città del Capo per un concerto. Era ormai il 1998 e la mia vita stava affrontando una svolta drammatica che mai avrei creduto, e se quell’anno Rodriguez, il mio Sixto Rodriguez, non fosse resuscitato dai morti per venire in tour in Sudafrica, credo proprio che ora non sarei qui a raccontarvi questa storia.
L’ho conosciuto. L’ho visto, l’ho
abbracciato in lacrime, il mio amore. In mezzo a migliaia di altri
suoi fan: c’era pure un uomo con quella copertina hippie tatuata
sul braccio; lui ha firmato un autografo a tutti, tranne a me. Io non
gliel’ho chiesto, non ho mai creduto nell’utilità di un
autografo, io volevo stringerlo forte, stringere lui. Stringere di
persona quella voce, quella musica, quei suoni che mi avevano
cambiato la vita negli anni Settanta e che me l’avevano salvata in
quel Novantotto e che nel frattempo non mi avevano mai lasciata.
Volevo stringere quel sorriso timido e modesto, felice di potersi
esibire di fronte a migliaia di persone che, mentre lui lavorava in
fabbrica, lo adoravano come un dio, e che, mentre lui si lasciava
alle spalle il tentativo di cambiare le cose grazie alla sua musica,
cambiavano le cose grazie alla sua musica. Lui, una persona semplice,
ma profonda. Le sue, canzoni semplici, ma profonde. E il nostro, un
amore semplice, ma profondo.
Al concerto, il basso, o che cos’era,
ripeté il suo breve giro iniziale per dieci minuti buoni, mentre la
folla continuava ad urlare estasiata, e quando Rodriguez iniziò a
cantare, tutti iniziammo a cantare con lui, con le lacrime agli occhi
e la voce rotta. Nessuno ci credeva, era come se ci avessero detto
che Elvis Presley era risorto, lui che era morto ufficialmente,
perché di lui si sapeva tutto da sempre, ma non di Rodriguez, e
invece eccolo lì, il nostro Sugar Man. Avevamo pagato il biglietto,
eravamo lì, il nostro cuore batteva al ritmo di quel notissimo
basso, ma non ci credevamo ancora, finché non lo vedemmo sul palco,
finché non cantò, e allora cantammo con lui, fra le lacrime e le
risa.
I wonder how many times you've been had
And I wonder how many plans have gone
bad
I wonder how many times you had sex
And I wonder do you know who'll be next
I wonder I wonder wonder I do. (4)
C’è chi va al cinema per vedere un
film, e poi compra l’album con la colonna sonora, e c’è chi
compra un album con una colonna sonora, fa un tuffo nel passato senza
salvagente, e poi va al cinema a vedere il film che racconta la
storia di questo amore condiviso con milioni di altri sudafricani per
quasi trent’anni. C’è chi va al cinema e nemmeno si accorge che
c’è una colonna sonora, e chi invece segue il film seduta in punta
di poltrona, fremente in attesa di sentire la prima nota familiare,
sarebbe arrivata da destra o da sinistra?, mi preparavo di nuovo al
concerto più bello della mia vita.
Mi innamoro ogni volta che sento quelle
note. È una chitarra, credo, forse un banjo, non lo so, non me ne
intendo. Suona, questo conta, ed io mi lascio rapire... ah, ecco il
violino. O cos’è. E poi quella piccola pausa per riprendere fiato,
entra un altro strumento in scena, più cupo, che traccia la linea
della malinconia, torna il violino, la chitarra non abbandona, anzi..
ora attacca seriamente. Ora inizia davvero.
* I numeri tra parentesi alla fine di
ogni brano citato indicano la traccia corrispondente nel disco
Searching For Sugar Man, colonna sonora dell’omonimo docu-film, che
comprende brani dei due album di Rodriguez: Cold Fact del 1970 e
Coming from Reality del 1971, e di un terzo album incompiuto.
* Il mio innamoramento musicale è
vero, mentre non è vero che sono nata e cresciuta in Sudafrica negli
anni Sessanta: il Sudafrica non so nemmeno dove sta di casa,
conoscevo solo le parole “apartheid” e “afrikaans” e qualcosa
del loro significato. Tutto il resto è preso dalle interviste
presenti nel docu-film Searching For Sugar Man di Malik Bendjelloul
del 2012.
*I brani non sono riportati in ordine cronologico né di apparizione nel film, ma a sentimento.
2 commenti:
Grande Elle... ma come non te ne intendi? Ne sai una più del diavolo, quindi sei molto rock ;)
Il diavolo veniva a dottrina da me ;)
Molto rock? Molto in fondo, forse (e così riesce a venir fuori raramente..)
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