Questa settimana partiamo con un novità: una nuova collaboratrice con un suo post nuovo di zecca. Lei è Irriverent Escapade e ha mandato una cartolina da Marrakech...
Abdullah, Abdu per gli amici, è un
bell’uomo, dagli occhi fieri, elegantemente vestito di una candida
tunica bianca. Non la porta tutti i giorni, anzi, solitamente veste
all’occidentale, per lo più sponsorizzato da tour operators
europei. Non sta mai fermo, Abdi, come lo chiamo io, quasi
vezzeggiandolo. Quando cammina, passi lunghi e ben distesi, ha un non
so che di marziale. Eccoci, siamo nella medina, al’ingresso del
souk. “Che cosa volete vedere?” ci chiede il nostro
accompagnatore. “Tutto Abdi, ogni cosa”. Abituato a richieste
specifiche , rimane un po’ interdetto; forse sperava di cavarsela
velocemente con noi. “Take it easy” gli dico io, oggi va così…
Al seguito del nostro moderno condottiero ci addentriamo nelle
strette e animatissime vie del souk, su e giù, passiamo attraverso
la zona dei pellai, quella degli orafi dove una miriade di donne
dalle vesti lunghe e dal capo coperto, si ferma davanti a queste
vetrine che, i miei occhi, sinceramente, leggono cariche di
paccottiglia. Abdi, captata al volo l’espressione della mia faccia,
tira dritto e, non visto, tira pure un sospiro di sollievo. Non so
dove posare il mio sguardo curioso ed incuriosito. Mi fermo ad
osservare un fabbro che sta abilmente lavorando ad una cornice. Nel
suo negozio ci sono anche molte lampade, in ferro e vetro. Belle.
Questa starebbe bene sul mio tavolino da notte, penso…Voilà. Ecco
che, velocissimo, il fabbro ha fiutato l’affare. Lascia
immediatamente la cornice cui stava lavorando, si avvicina a me,
biascica qualcosa in tedesco, “sono italiana” gli rispondo in
francese (sorridendo tra me e me, pensando allo splendido Abatantuono
di Marrakesh Express “Ponchià, je m’appelle Ponchià!!”)
“Italia aah bella Italia…Italiano-Marocchino, una faccia, una
razza!”, replica il nostro, additando il mio compagno. “Belli
cose, belli cose, cosi vuoi tu, tu piaci lampada, regalo, prezzo
regalo”. Inutile dire che, immediatamente, spara uno sproposito
(per i prezzi locali), se sarà fortunato, dopo qualche minuto, i
miei compagni cominceranno a scalpitare e io dovrò cedere ad un
prezzo affare, solo per lui!!..Ma io non ho intenzione di mollare il
colpo. Abdi si accende, rassegnato, la terza sigaretta consecutiva
(ti fa male, smetti!), il mio compagno scuote il capo, ancor più
rassegnato. La contrattazione comincia. Ben presto, intorno a noi, si
raccoglie un gruppo di variegati personaggi, il popolo del souk. Un
ragazzino (perché non è a scuola a quest’ora? Boh) con la maglia
(taroccata, ca va sans dire) di Francesco Totti, si affianca a me, mi
guarda con i suoi occhi scuri e vivacissimi, nel mio vorticoso
mercanteggiare. E’ passata quasi mezz’ora, non posso cedere, è
una questione di principio, ma nemmeno la mia controparte sembra
voler lasciare, sta diventando una questione di principio anche per
lui…ma alla fine cede, il mini show che sta interpretando con me,
gli fa perdere altre vendite a vantaggio delle botteghe vicine.
“On y va, Abdi” dico soddisfatta e
divertita. Imbraccio il mio primo trofeo, di questa strana (quanto
incruenta) battuta di caccia, in questa splendida terra che è il
Marocco, in questa magica città che è Marrakesh.
Quando, vittima di croniche turbolenze,
l’aereo scende sulla città e l’occhio, immancabilmente viene
rapito (e il passeggero distratto) dalle morbide curve che l’Atlante,
visto dall’alto, disegna, ci si interroga sulla meta di arrivo. Il
terreno, benché montuoso, appare dolce, le aride rocce hanno una
parvenza meno sterile. Questo è solo l’inizio di una esperienza
indimenticabile, un’altra appendice dell’inguaribile mal
d’Africa.
Il Marocco è un Paese molto completo e
Marrakesh altro non è che la sua immagine fatta a città. La più
turistica delle Città Imperiali si presenta a noi con il suo abito
più bello: la grande piazza Jemaa el Fna (letteralmente “la
riunione dei trapassati”, luogo dove, un tempo, venivano eseguite
le condanne a morte) al calar del sole. Tutto intorno si colora del
caldo rosso del tramonto: cominciano ad accendersi i fuochi delle
“cucine di piazza”, i venditori d’acqua, girano ancora più
vorticosamente mentre si sciolgono piano piano i capannelli intorno
ai farmacisti e ai dentisti ambulanti. Gli incantatori di serpenti e
gli acrobatici saltimbanchi continuano il loro spettacolo per quei
turisti che, timorosi di avventurarsi all’imbrunire nella sempre
brulicante piazza, si sono, nel frattempo accomodati sulla terrazza
del Café Glacier. E guardano, osservano, spettatori estranei ed
immobili, la vita che scorre vorticosa sotto i loro piedi, in questa
piazza sempre più rumorosa, sempre più colorata….salvo poi
tornare alle loro borghesi realtà e raccontare di mirabolanti cose
viste.
Il rassegnato e (ormai) rilassato Abdi
ci guida attraverso le varie cucine. Sono incosciente e golosa:
dimentico (volutamente) che le delicatessen che appaiono davanti ai
miei occhi sono cucinate in ambiente poco igienico. Abdul assaggia e
io, compiaciuta (malgrado il mio compagno mi redarguisca brandendo
dell’enterogermina), lo imito. Non domando cosa sto mangiando,
gusto e basta. Riconosco a tratti questa o quella spezia, mi lecco
dalle dita, alternativamente, schizzi di piccantissima harissa o
appiccicose lacrime di miele.
Ebbra di queste (per lo più)
misteriose delizie mi faccio trasportare dall’entusiasmo. Vorrei
tornare per un altro giro all’interno della medina. Categorico
rifiuto da tutti i fronti. Smonto dal mio attacco di egoismo ed
accetto di andare a sedermi e fare (per un po’) la normale turista.
Perché no?! Evitiamo il Glacier e ci accomodiamo al Cafè de France.
Fendendo letteralmente una bolgia umana, saliamo al primo piano, dove
guadagniamo una buona postazione. Lo spettacolo della piazza che si
apre sotto i miei occhi è quello di una grande onda colorata che si
muove in un disordine affatto casuale, paradossalmente, ordinato.
Cerco di togliere la messa a fuoco della mia vista e il tutto mi
appare come un dipinto divisionista. Vorrei essere un artista e poter
fermare i colori e le luci nel modo in cui i miei occhi (volutamente)
sfocati li stanno vedendo. Ma purtroppo artista non sono.
Dal maggio 2001, l’Unesco ha
proclamato questa piazza “Patrimonio orale dell’Umanità”. Non
serve essere antropologi o sociologi per capirne le motivazioni.
Basta lasciarsi guidare dai sensi, dall’istinto. Ascoltare,
annusare, osservare con gli occhi del cuore ancor più che con quelli
della ragione, senza aver troppa fretta. Si arriverà a penetrare
veramente questa piazza, abbeverandosi della vita che da lei
trabocca, così come fece un ormai vecchio (e cieco) Jose Luis Borges
paragonandola alla musica delle dune del deserto.
Musica consigliata per la lettura:
Cheb Khalid - Wahran Wahran
Powered by mp3skull.com
Powered by mp3skull.com
I.E.
Nessun commento:
Posta un commento