lunedì 29 aprile 2013

Fumi, profumi e colori... (momenti a Marrakech)

Questa settimana partiamo con un novità: una nuova collaboratrice con un suo post nuovo di zecca. Lei è Irriverent Escapade e ha mandato una cartolina da Marrakech...


Abdullah, Abdu per gli amici, è un bell’uomo, dagli occhi fieri, elegantemente vestito di una candida tunica bianca. Non la porta tutti i giorni, anzi, solitamente veste all’occidentale, per lo più sponsorizzato da tour operators europei. Non sta mai fermo, Abdi, come lo chiamo io, quasi vezzeggiandolo. Quando cammina, passi lunghi e ben distesi, ha un non so che di marziale. Eccoci, siamo nella medina, al’ingresso del souk. “Che cosa volete vedere?” ci chiede il nostro accompagnatore. “Tutto Abdi, ogni cosa”. Abituato a richieste specifiche , rimane un po’ interdetto; forse sperava di cavarsela velocemente con noi. “Take it easy” gli dico io, oggi va così… Al seguito del nostro moderno condottiero ci addentriamo nelle strette e animatissime vie del souk, su e giù, passiamo attraverso la zona dei pellai, quella degli orafi dove una miriade di donne dalle vesti lunghe e dal capo coperto, si ferma davanti a queste vetrine che, i miei occhi, sinceramente, leggono cariche di paccottiglia. Abdi, captata al volo l’espressione della mia faccia, tira dritto e, non visto, tira pure un sospiro di sollievo. Non so dove posare il mio sguardo curioso ed incuriosito. Mi fermo ad osservare un fabbro che sta abilmente lavorando ad una cornice. Nel suo negozio ci sono anche molte lampade, in ferro e vetro. Belle. Questa starebbe bene sul mio tavolino da notte, penso…Voilà. Ecco che, velocissimo, il fabbro ha fiutato l’affare. Lascia immediatamente la cornice cui stava lavorando, si avvicina a me, biascica qualcosa in tedesco, “sono italiana” gli rispondo in francese (sorridendo tra me e me, pensando allo splendido Abatantuono di Marrakesh Express “Ponchià, je m’appelle Ponchià!!”) “Italia aah bella Italia…Italiano-Marocchino, una faccia, una razza!”, replica il nostro, additando il mio compagno. “Belli cose, belli cose, cosi vuoi tu, tu piaci lampada, regalo, prezzo regalo”. Inutile dire che, immediatamente, spara uno sproposito (per i prezzi locali), se sarà fortunato, dopo qualche minuto, i miei compagni cominceranno a scalpitare e io dovrò cedere ad un prezzo affare, solo per lui!!..Ma io non ho intenzione di mollare il colpo. Abdi si accende, rassegnato, la terza sigaretta consecutiva (ti fa male, smetti!), il mio compagno scuote il capo, ancor più rassegnato. La contrattazione comincia. Ben presto, intorno a noi, si raccoglie un gruppo di variegati personaggi, il popolo del souk. Un ragazzino (perché non è a scuola a quest’ora? Boh) con la maglia (taroccata, ca va sans dire) di Francesco Totti, si affianca a me, mi guarda con i suoi occhi scuri e vivacissimi, nel mio vorticoso mercanteggiare. E’ passata quasi mezz’ora, non posso cedere, è una questione di principio, ma nemmeno la mia controparte sembra voler lasciare, sta diventando una questione di principio anche per lui…ma alla fine cede, il mini show che sta interpretando con me, gli fa perdere altre vendite a vantaggio delle botteghe vicine.
“On y va, Abdi” dico soddisfatta e divertita. Imbraccio il mio primo trofeo, di questa strana (quanto incruenta) battuta di caccia, in questa splendida terra che è il Marocco, in questa magica città che è Marrakesh.
Quando, vittima di croniche turbolenze, l’aereo scende sulla città e l’occhio, immancabilmente viene rapito (e il passeggero distratto) dalle morbide curve che l’Atlante, visto dall’alto, disegna, ci si interroga sulla meta di arrivo. Il terreno, benché montuoso, appare dolce, le aride rocce hanno una parvenza meno sterile. Questo è solo l’inizio di una esperienza indimenticabile, un’altra appendice dell’inguaribile mal d’Africa.
Il Marocco è un Paese molto completo e Marrakesh altro non è che la sua immagine fatta a città. La più turistica delle Città Imperiali si presenta a noi con il suo abito più bello: la grande piazza Jemaa el Fna (letteralmente “la riunione dei trapassati”, luogo dove, un tempo, venivano eseguite le condanne a morte) al calar del sole. Tutto intorno si colora del caldo rosso del tramonto: cominciano ad accendersi i fuochi delle “cucine di piazza”, i venditori d’acqua, girano ancora più vorticosamente mentre si sciolgono piano piano i capannelli intorno ai farmacisti e ai dentisti ambulanti. Gli incantatori di serpenti e gli acrobatici saltimbanchi continuano il loro spettacolo per quei turisti che, timorosi di avventurarsi all’imbrunire nella sempre brulicante piazza, si sono, nel frattempo accomodati sulla terrazza del Café Glacier. E guardano, osservano, spettatori estranei ed immobili, la vita che scorre vorticosa sotto i loro piedi, in questa piazza sempre più rumorosa, sempre più colorata….salvo poi tornare alle loro borghesi realtà e raccontare di mirabolanti cose viste.
Il rassegnato e (ormai) rilassato Abdi ci guida attraverso le varie cucine. Sono incosciente e golosa: dimentico (volutamente) che le delicatessen che appaiono davanti ai miei occhi sono cucinate in ambiente poco igienico. Abdul assaggia e io, compiaciuta (malgrado il mio compagno mi redarguisca brandendo dell’enterogermina), lo imito. Non domando cosa sto mangiando, gusto e basta. Riconosco a tratti questa o quella spezia, mi lecco dalle dita, alternativamente, schizzi di piccantissima harissa o appiccicose lacrime di miele.
Ebbra di queste (per lo più) misteriose delizie mi faccio trasportare dall’entusiasmo. Vorrei tornare per un altro giro all’interno della medina. Categorico rifiuto da tutti i fronti. Smonto dal mio attacco di egoismo ed accetto di andare a sedermi e fare (per un po’) la normale turista. Perché no?! Evitiamo il Glacier e ci accomodiamo al Cafè de France. Fendendo letteralmente una bolgia umana, saliamo al primo piano, dove guadagniamo una buona postazione. Lo spettacolo della piazza che si apre sotto i miei occhi è quello di una grande onda colorata che si muove in un disordine affatto casuale, paradossalmente, ordinato. Cerco di togliere la messa a fuoco della mia vista e il tutto mi appare come un dipinto divisionista. Vorrei essere un artista e poter fermare i colori e le luci nel modo in cui i miei occhi (volutamente) sfocati li stanno vedendo. Ma purtroppo artista non sono.
Dal maggio 2001, l’Unesco ha proclamato questa piazza “Patrimonio orale dell’Umanità”. Non serve essere antropologi o sociologi per capirne le motivazioni. Basta lasciarsi guidare dai sensi, dall’istinto. Ascoltare, annusare, osservare con gli occhi del cuore ancor più che con quelli della ragione, senza aver troppa fretta. Si arriverà a penetrare veramente questa piazza, abbeverandosi della vita che da lei trabocca, così come fece un ormai vecchio (e cieco) Jose Luis Borges paragonandola alla musica delle dune del deserto.



Musica consigliata per la lettura:

Cheb Khalid - Wahran Wahran

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I.E.

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