“Dunque,
tesoro, eccoci qua a New York e anche se non ti ho detto proprio tutto
quello che avevo in mente quando attraversammo il Missouri e
specialmente nel momento in cui siamo passati davanti al riformatorio di
Booneville che mi ricordava il mio problema carcerario, ora è
assolutamente necessario posporre tutte quelle cose sorpassate
concernenti i nostri personali affari amorosi e cominciare
immediatamente a pensare a specifici progetti di vita lavorativa…”
Sin
dall’incipit viene presentato Dean, che sarebbe l’unico protagonista di
questo romanzo, se non fosse presente anche Sal, la voce che ne narra
le gesta e ne riporta i discorsi. Dean arriva a New York nell’inverno
del 1947, Sal aveva sentito parlare di lui e ne era incuriosito e una
sera finalmente fa la sua conoscenza. Sin dall’incipit io questo romanzo
non riuscivo a capirlo, Sal e Dean due scapestrati, Dean che fa
discorsi strani e poi parte, e Sal che finalmente riesce a partire anche
lui, senza soldi, con l’autobus poi con l’autostop: mi sembrava un
romanzo troppo estivo da leggere a cavallo fra dicembre e gennaio, con
la neve sotto il naso come ero messa io.
Ecco
infatti che “nel mese di luglio del 1947, avendo messo da parte circa
cinquanta dollari della mia pensione di reduce, fui pronto ad andare
nella costa occidentale”, dice Sal; andare nel West era suo sogno, e
scopre che lo era anche di Dean, il quale, una volta ricongiuntosi con
lui, e divenuto vero e proprio protagonista della narrazione, risulta
essere uno a cui non è necessario ripetere due volte certe proposte,
perché al “che ne diresti” è già salito in macchina pronto a partire. E
come guida! Come corre, quale resistenza per ore alla guida attraverso
gli Stati Uniti!
Pensavo
che il motivo per cui non capivo il romanzo fosse che io i miei lunghi
viaggi in macchina alla scoperta del mondo li ho sempre fatti in estate,
frase poeticissima ma fasulla, non scoprivo proprio nulla, in realtà
andavo in ferie, e mentre guidavo ascoltavo musica e pensavo, quindi
cosa c’entra tutto questo con Sal e Dean che invece partono alla
scoperta del mondo?
Pensavo
che il motivo, dicevo, che il motivo per cui non capivo il romanzo
fosse che io i miei lunghi viaggi in macchina li ho sempre fatti in
estate, invece mentre leggevo era inverno, la stagione del
raccoglimento, del riscaldamento acceso (sfatiamo il mito del camino,
ché non ce l’ha più nessuno), dei lebkuchen, della musica classica. Non
del viaggio.
Invece
presto mi sono dovuta ricredere: non solo lo potevo capire, ma potevo
addirittura immedesimarmi nell’atteggiamento sconclusionato dei due, nel
loro vivere alla giornata, nella loro profonda curiosità di tutto,
nella voglia di nuove conoscenze, nella facilità con cui alcune se le
lasciano dietro, e pure in certa parte della loro particolare goliardia.
***
Le
piaceva questa sua nuova vita senza pensieri, senza scadenze, senza
fretta, senza preoccupazioni; le piaceva organizzare poco per volta il
suo tempo e il suo futuro, pur avendo una regolarità di base; fino a
poco tempo prima diceva, quasi per scherzo, che non poteva programmare a
lunga scadenza il suo futuro, che non poteva sapere dove sarebbe stata
di lì a un anno, e ogni volta che lo diceva il suo pensiero andava
subito all'anno precedente: esattamente un anno prima dov'era? Cosa
faceva? Sapeva già che ora sarebbe stata proprio qui dove era? La
risposta a quest'ultima domanda era “no”. La risposta alle altre
domande, era “a Siena”. Un anno prima era a Siena, stanca di starci,
stanca di avere una vita monotona, stanca di non avere niente da fare o
di non potere fare niente; era a Siena ma sapeva già che ci sarebbe
rimasta solo fino a maggio, aveva infatti preso casa per sei mesi
soltanto; era a Siena ma sapeva già che a metà maggio se ne sarebbe
andata, aveva forse già fatto il biglietto, o forse aveva solo visto le
date e i prezzi; era a Siena e voleva andare da qualche altra parte e
non tornarci mai più: programmava di cambiare lavoro, di cambiare una
vita che ancora la affascinava, eppure non la rendeva più entusiasta
come avrebbe fatto se solo fosse stato quello che davvero voleva per sé;
invece si era rivelato essere solo un ripiego facile da ottenere, e col
quale ottenere facilmente approvazione. Ma ora, in questa sua vita
senza scadenze e senza pensieri, era arrivato il momento di decidere.
Infatti non poteva dire ancora che la sua vita fosse completamente senza
pensieri e senza scadenze, né che ora fosse diventata una che si
lasciava scivolare le cose addosso senza prendere le relative decisioni,
una che aspettava che le cose succedessero; ed effettivamente non si
poteva parlare di cose che succedevano quando le suddette cose le si
andava a cercare sul sito, si compilavano i moduli relativi, li si
spediva a tempo debito, si scrivevano le e-mail di conferma ricezione o
di risoluzione problemi, si attendeva con ansia il verdetto. Quando
infine il verdetto arrivava, ed era positivo, significava solo una cosa:
altre scadenze, altre decisioni, ma lei, ormai disintossicata dallo
stress cittadino, nonostante non avesse mai abitato in una vera città,
riusciva a fare tutto con calma; laddove il verbo "riuscire" era
riferito al fatto che lei, disintossicata da quello stress, riusciva
finalmente "a stare calma", e non che lei, disintossicata da quello
stress, riusciva "a fare tutto"; infatti lei, calma come un girasole in
un campo estivo, riuscì facilmente a far passare la scadenza, l'ultima,
quella importante, e spedì la documentazione che era richiesta per il
giorno prima entro le 12, solo quel giorno con calma verso le dieci e
mezza del mattino, poco prima del caffè in piazza con gli amici che
prontamente aveva contagiato con la sua calma da bradipo nel dì di
festa, infatti la loro pausa di 15 minuti durò quel giorno tre volte
tanto, così rientrarono un po' in ritardo; lei invece, sempre calma,
tornò a casa, a piedi, godendosi quel fantastico sole che, alla
temperatura di 17 gradi, cercava di difenderla dalle raffiche di vento a
26 chilometri orari proveniente da nordest; invece non si preoccupò più
di tanto dell'umidità dell'aria al 54% perché quando non aveva appena
fatto la piega liscia la considerava un dettaglio superfluo.
***
A
lungo, e per la maggior parte del romanzo, Sal racconta del suo amico
Dean, un “pazzo” che ha un suo modo di vivere, ma che non sta lì a
spiegarlo, a giustificarsi; Sal invece sta nel mezzo, diviso tra l’esser
“normale” (ovvero come la maggior parte delle persone) e l’esser
“pazzo” come Dean, che lui adora, e coinvolge e segue in tutto e
dappertutto. Si godono la vita senza pensieri.
“Ti
dirò, Sal, chiaro e tondo,” dice Dean quasi alla fine, riassumendo così
la sua filosofia di vita: “non importa dove io abiti, il mio baule
spunta sempre di sotto il letto, sono pronto a partire o a venir buttato
fuori. Ho deciso di lavarmi le mani di tutto. Tu m’hai visto tentare di rompermi il culo per farcela e tu
sai che questo non ha importanza e che noi sappiamo il valore del
tempo: come rallentarlo e camminare e guardare e solo fare delle
scatenate baldorie vecchio stile, che altro genere di baldoria esiste? Noi lo sappiamo.”
Si
spostano, tirano a campare, si divertono, incrociano molte altre
persone, e su queste riflettono, come su sé stessi, entrambi sanno di
essere simili in qualche modo e, per questo, di capirsi. Se escludo le
baldorie, e la profonda amicizia, io ci ho visto il riassunto nei miei
ultimi dieci anni di vita (quelli che ora mi sembrano passati dieci anni
fa), perché in questo romanzo ognuno dei personaggi “tutte queste cose
le faceva esclusivamente a scopo di esperienza”, non ci hanno guadagnato
altro, anzi forse qualcosa (e qualcuno) per strada l’hanno perso.
***
Al lago le ragazze aprirono il giornale, trovarono gli annunci di lavoro, la guardarono e le chiesero: "Tu che lavoro vuoi fare da grande?". Era di certo una battuta, per quel "da grande", ma forse anche una domanda seria, considerato che ora faceva la tirocinante mal pagata in un negozio lontano chilometri e chilometri da casa sua: una volta concluso il tirocinio, e quando sarebbe stata grande abbastanza per lavorare, cosa avrebbe voluto fare? Rispose che non aveva ancora deciso, ma cosa avrebbero detto le ragazze se avessero saputo che quella fase lei credeva di averla già superata e che viveva in uno stato di beatitudine in cui non era alla ricerca del lavoro ideale, quello per la vita, quello che faceva uscire dalla giovinezza per far entrare nell'età adulta e responsabile, quello che dava soldi e ferie e un futuro? Quella fase era superata e fortuna che nella vita non si tornava mai indietro, perché non avrebbe voluto rivivere quell'agitazione e quella paura del futuro. Lei il suo lavoro da fare da grande per ora l'aveva trovato: quello che stava facendo ora; e capì che le ragazze, simpatiche o noiose che fossero, non erano interessanti per lei, altrimenti avrebbe tentato di spiegar loro che avrebbe voluto che nella sua vita ci fossero cose più importanti della pagina degli annunci del giornale locale.
Al lago, in generale, l'atmosfera era borghese, anche se non sapeva bene cosa potesse significare questa parola, né quale significato potesse attribuirgli lei: vide le classiche famiglie di turisti, con bambini piccoli e medi, o gruppi di ragazzini grandi che passavano le loro prime domeniche soli al lago; vide macchine costose, almeno per lei, e altrettanto costose case, case per famiglie, carine, ordinate, com’eran sempre piaciute a lei, e le sembrarono noiose; aveva sempre sognato una famiglia, una casetta, un marito con il fuoristrada, due bambini un maschio e una femmina che non le davano grosse preoccupazioni, un giardino curato e una cucina accessoriata, le vacanze al mare in estate e in montagna in inverno, e magari una televisione da 36 pollici per continuare a guardare quei film che le avevano messo così tante cazzate in testa; da piccola sognava tutte queste cose, ma ora che era grande temeva fossero noiose, non riusciva ad immaginare altro quando ci pensava; da piccola, ossia un anno prima, le dispiaceva non averle ancora, da grande, ossia ora, sapeva che non le voleva avere; sapeva che in futuro avrebbe potuto ancora cambiare idea, ma per ora le piaceva la vita che stava facendo ora: non aveva una casa sua, e nessun diritto su quella in cui abitava, la macchina l'aveva avuta, anche se non costosa, ma anziché fare il passo successivo logico, ossia comprarne una più grande e più bella, l'aveva venduta e ora aveva una bicicletta di seconda mano; non aveva mai avuto davvero in mano elementi validi per costruire una famiglia, ma aveva smesso di desiderarli o di cercarli, se mai li aveva cercati, e finalmente si accontentava davvero, nel senso che era davvero contenta di quello che aveva e non riusciva più ad immaginare, cosa che un tempo faceva in continuazione, la sua vita in una casetta con il numero di camere giusto, due macchine sul viale, lo scivolo e l'altalena sul prato, le vicine davanti alla sua porta con la torta per il tè, i vicini che annaffiavano le piante il sabato e lavavano la macchina la domenica, per andare al lavoro con la carrozzeria lucida il lunedì, il lavoro in centro e il panettiere di fiducia dietro l'angolo. Il panettiere di fiducia lei ce l'aveva in ogni zona che frequentava, per non restare mai senza pane o croissant, cosa che ultimamente la mandava nel panico più totale, e se proprio avesse dovuto immaginare un uomo nella sua vita, ora lo immaginava pedalare a fianco a lei, su una bicicletta di seconda mano sgangherata quanto la sua, ma di un altro colore, senza marce e senza cestino, con la catena e il lucchetto ma chi è che se la ruba, il fanale storto e le ragnatele fra i raggi; se lo immaginava che pedalava a fianco a lei anche per la gita della domenica all’Heiligensee, sulla ciclabile verso il lago, lungo la sponda opposta, quella senza villette, senza ombrelloni, senza bagnino, senza chiosco che sfornava wurst a tutte le ore, senza coppie di pensionati sdraiati con la spremuta in mano, solo altri sfigati che in realtà erano gli unici che si godevano la vita, laddove "godersi la vita" non significava spendere la domenica i soldi guadagnati durante la settimana per pagare l'affitto di una casa al lago, ma assaporare in bocca il sapore che ogni giorno aveva, e che era diversissimo dal sapore del giorno precedente; e continuava a pensare che le sarebbe piaciuto avere un figlio, eppure per la prima volta nella sua vita non lo voleva davvero, non ora che non aveva nemmeno il cestino per la bici.
***
Certi
pensieri, legati a certe persone, li ha avuti anche Dean, e mentre
leggevo mi sono resa conto che sono più frequenti nelle persone abituate
a viaggiare per lunghi periodi, perché queste persone acquisiscono una
capacità di osservare e di valutare le altre persone che differisce da
quella di chi da casa sua si sposta solo una, due volte all’anno, per le
ferie comandate e non perché spostarsi faccia parte della sua
concezione del mondo; e nelle persone che conducono una vita irregolare o
nomade, ma che pure hanno occasione di osservare da abbastanza vicino
anche chi ripudia il nomadismo come simbolo di arretratezza, come una
condizione di vita inferiore da esorcizzare, quelli che “hanno
preoccupazioni, contano i chilometri, pensano a dove devono dormire
stanotte, quanti soldi per la benzina, il tempo, come ci arriveranno… e
in tutti i casi ci arriveranno lo stesso, capisci. Però hanno bisogno di
preoccuparsi e d’ingannare il tempo con necessità fasulle o d’altro
genere, le loro anime puramente ansiose e piagnucolose non saranno in
pace finché non riusciranno ad agganciarsi a qualche preoccupazione
affermata e provata […]”, come fa notare Dean a Sal.
E
certi pensieri, legati a certe persone, li ha avuti anche Sal: “Io
attaccai discorso con una splendida ragazza di campagna che portava una
camicetta di cotone molto scollata e rivelata la sommità abbronzata del
suo bel seno. Era ottusa. Parlò di serate in campagna passate a fare il
popcorn sotto il portico. Un tempo ciò mi avrebbe rallegrato il cuore ma
poiché il cuore di lei non se ne rallegrava mentre lo diceva, capii che
in esso non c’era altro che l’idea di ciò che si dovrebbe fare.”
Per
tutto il romanzo la musica Bebop non li abbandona mai. Sal e Dean
frequentano diversi locali, in diverse città, spesso ci incontrano loro
amici musicisti, ma anche sorprendenti sconosciuti: “Saltammo fuori
nella notte calda, selvaggia, sentendo un indiavolato sax-tenore che
faceva ululare il suo strumento dall’altra parte della strada, in questo
modo: ‘ii-iah! ii-iah! ii-iah!’ mentre delle mani battevano a tempo e
la gente urlava: ‘Dài, dài, dài!’[…] Stava suonando sull’onda di un
meraviglioso soddisfacente motivo improvvisato, una frase ripetuta che
si alzava e ricadeva e andava da ‘iiiah!’ fino a un più indiavolato
‘ii-di-li-iah!’ […] era in istato di grazia e tutti lo sapevano […]. Era
una folla di pazzi. Stavano tutti a incitare il sassofonista, con urli e
stralunar d’occhi, perché tenesse duro e continuasse, e lui si
sollevava sulle ginocchia e si abbassava di nuovo col suo strumento,
lanciandolo in alto in un chiaro grido contro il furore. Tutti si
dondolavano e ruggivano. […] il sax-tenore saltò giù dal palco e stette
in piedi tra la folla, suonando in tutte le direzioni; aveva il cappello
sugli occhi; qualcuno glielo spinse all’indietro. Lui indietreggiò e
batté un piede e soffiò una nota rauca ululante, e tirò il fiato, e alzò
lo strumento e lanciò una nota alta, larga e stridula nell’aria […], e
finalmente ricadde fra le braccia di qualcuno e si diede per vinto e
tutti gli si accalcarono intorno e gridarono: ‘Sì! Sì! L’ha suonato come
un dio!’.”
***
Quel giorno al lago si rese
conto che ora finalmente si sentiva "grande", lo era diventata otto mesi
prima, quando aveva lasciato tutto ed era partita. Quando aveva
conosciuto la povertà, la fame, e la disperazione di non avere una vita,
era diventata grande, e ora che aveva un lavoro, una stanza e una
bicicletta, ora che cominciava a sentire
di avere una vita sua, non sarebbe voluta mai tornare indietro, su
quella strada comoda e asfaltata che portava, con un ponte logico, alla
strada successiva: lavoro, soldi, macchina, casa, famiglia e vacanze al
mare in estate e in montagna in inverno. Apparentemente il suo era un
inizio, lo dimostrava la domanda delle ragazze su ciò che avrebbe voluto
fare "da grande", cioè in futuro, ma per lei era questo il "da grande",
perché si sentiva cresciuta dentro.
Era
scappata da tutto ciò che costituiva lo svolgimento lineare di una
vita, e quando, anni dopo, ci sarebbe tornata, non sarebbe stata pronta a
ritrovarlo, perché nel frattempo l’avrebbe scordato, nonostante quel
giorno al lago avesse avuto l’impressione che quella vita lineare si
affacciasse dal balcone di ogni villetta per invitarla a salire. Eppure
si sarebbe lentamente ripresa da quel primo scoramento e sarebbe
riuscita a dimostrare che non si trattava necessariamente di due vite
contrapposte e parallele. Anni dopo, ripensandoci, si sarebbe resa conto
che viaggiare e spostarsi non erano il presupposto ideale per crescere
senza radici, al contrario: perché ogni
città in cui aveva vissuto (e, in certa misura, anche quelle in cui
aveva soggiornato solo per brevi vacanze, se nel momento giusto della
vita) erano state punti di svolta da cui era ripartita diversissima da
com'era appena vi era arrivata, e avevano smesso col tempo di essere
luoghi fisici, per diventare "il luogo in cui era diventata così" o il
"luogo in cui aveva smesso di essere in questo modo" o "in cui aveva
imparato questa cosa di sé". In ognuna di queste città aveva messo una
radice diversa, che faceva di lei il fiore che era.
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