Il freddo non mi
faceva paura, c’ero abituato ma non vedevo l’ora che si facesse
giorno. Quel figlio di puttana di un segugio mi aveva odorato e mi era toccato
starmene rintanato in quella buca dietro quel dirupo con i rospi che
gracidavano e la faccia incollata alla terra umida. Col chiaro di luna e il
cielo che sembrava un cuscino coperto di spilli ci vedevo meglio, avrei solo
dovuto aspettare il momento propizio per passare quella cazzo di linea. Ma
quella notte non mi fu possibile per cui restai vigile e attento ai minimi
dettagli perché sono loro che poi ti fottono. Ero pronto anche a morire pur di
andarmene.
Quando la luce del
mattino arrivò mi scavò gli occhi e per un lungo momento non ci vidi più.
Fuggivo dal mio passato, dal mio presente, da me stesso. Fuggivo.
Restai in quella
buca tre notti prima di passare il confine. Se avessi potuto avrei camminato
all’indietro per cancellare le mie tracce e scomparire per sempre, ma non
si può tornare indietro a nostro piacimento. Quel che è fatto è fatto. “E
proprio vero, la vita di alcuni è più incasinata di quelle di altri,
com’è la tua in questo momento”, disse guardandomi dritto negli
occhi Louie Perez.
Avevo guidato
tutta la notte e ascoltato alla radio canzoni country -rock che avevo
dimenticato come Colorado, Me and Bobby McGee, Deportee, Cant you
see, Carmelita e guardato in faccia i miei fallimenti. Avevo aperto le mie
cicatrici facendole sanguinare copiosamente, viaggiando immerso in quelle
tenebre che mi avvolgevano, dove passato e presente diventavano tutt’uno.
Cos’era stato a mandarmi in frantumarmi? Me lo chiesi più volte quella
notte ma non seppi rispondermi.
Quando il
giorno aprìì gli occhi, il cielo si stava scurendo. Dopo un po’
cominciò a piovere fitto. Continuai a guidare. Poi, sfinito, mi fermai in
quella piccola stazione di servizio. Prima di scendere mi guardai nello
specchietto retrovisore, quasi non mi riconoscevo. Mi diedi una ripulita nella
piccola toilette e andai a prendere un caffè. Il Signor Perez era un messicano
che aveva passato la frontiera e il deserto era stato clemente con lui. Gestiva
quella stazione insieme alla moglie ed era un uomo loquace e generoso perché
non aveva dimenticato chi era stato.
Erano le dieci del
mattino e stavo assorto davanti a una tazza di caffè ascoltando i suoi racconti
quando mi chiese come mi chiamavo. Mi girai e guardai in un punto
indefinito. Chi c’era lì? Forse il fantasma di me stesso.
Un’identità sconosciuta che viaggiava con documenti falsi che vanno bene
quando si ha voglia di continuare a vivere e sperare non per chi, come me, era
piombato nel buio più assoluto.
Nell’altra
vita ero stato un pilota dell’aviazione, poi un musicista. Ero nato in
Alabama, ed ero cresciuto in Tennessee, poi mi ero spostato a Nashville. Lì
avevo conosciuto Waylon Jennings che aveva portato al successo una mia canzone
“Ladies Love Outlaws”, che anche gli Everly
Brothers cantarono. Pubblicai il mio primo album e sparii per qualche
tempo. Mi era difficile adattarmi, accettare tutti quei compromessi che
l’ambiente musicale di Nashville pretendeva. Ma non tutto era perduto.
Ritornai qualche tempo dopo con un nuovo stile rispetto al mio esordio. Scrissi
canzoni più lunghe dai toni malinconici ed elettrificai il suono. L’album
che pubblicai si chiamava “Border Affair”. A pensarci quel
disco fu ben accolto, tanto che mi diedero la possibilità di farne un altro:
“Naked Child”, dove diedi più spazio alla mia vena rock.
Ma senza
accorgermene ero scivolato nella tossicodipendenza, ed ero sempre meno illuso
da quell’ambiente di ipocriti che mi girava intorno, interessati solo a
fare soldi, nient’altro che soldi. Completai un altro disco “The
Dream Goes On”, sulla falsa riga del precedente, mentre il mio
matrimonio andava a pezzi e con mio padre non avevo più rapporti per via della
droga. Quando l’industria discografica mi chiese di diventare ciò che non
potevo essere mollai tutto e feci perdere le mie tracce. C’era la fila la
fuori di gente pronta a fare quello che loro volevano.
La voce di Louie
Perez mi richiamò alla realtà . “Figliolo qual è il tuo nome?”
Respirai profondamente e biascicai: “Lee Clayton”. Allora Lee, ti
conviene prendere la tua roba dalla macchina è fermarti qui stanotte, il tempo
non è messo bene e tu hai bisogno di riposarti prima di affrontare nuovamente
il deserto. Non mi stupii di quell’invito, l’uomo che avevo di
fronte si preoccupava di un emerito sconosciuto. Quell’uomo riusciva a
vedere oltre. Pur sapendo che puzzavo di guai era pronto a tendermi una mano.
Per lui non esisteva il passato, contava solo il presente. Mi leggeva come un
libro aperto perché anche lui, un tempo, era stato un fantasma.
Louie e sua moglie
quella sera mi coccolarono amorevolmente e mi sentii per la prima volta, dopo
tanti anni, a casa. Quando andarono a dormire e restai solo, in quel
retrobottega con il pavimento di legno che scricchiolava circondato da tutte le
loro piccole cose appese, dal muro tirai giù quella vecchia chitarra con le
corde arrugginite. Era da non so quanto tempo che non prendevo in mano uno
strumento, ma era come se non ci fossimo mai lasciati. E nel silenzio del
deserto, insieme ai miei ricordi, l’unica cosa in fondo solo mia. Suonai
una mia vecchia canzone. “Non so davvero se riuscirò ad aprirmi
abbastanza da cantarti questa canzone. Lo sai quante volte ho cercato di
nascondermi, e so d'aver sbagliato, ma tu non sai cosa brucia di più nel dolore
di non averti. Lasciami tentare di spiegare con le mie parole semplici quanto
ti amo. Sento la tua voce ovunque e l'unica cosa che vedo e' il tuo viso e
capisco quel che stai passando, così lascio che la vita scorra, ma a volte, se
non mi trattengo, il mio cuore sprofonda nell'oceano, ma non sono qui di certo
per rattristarti. Ti amo. I tuoi occhi bruciano dentro di me, nei sentimenti di
cui ho paura, ma l'amore per te rende speciale quest'uomo, questo stupido che
sono. Qualsiasi cosa io sia, ascoltami tesoro, ti amo e so d'averti detto che
il mio nemico è chi ti dorme accanto stanotte e ti ho anche detto di non
mentire, ma a volte ho mentito, ma credo verrà il giorno in cui la notte sarò
con te, lo prometto ma fino ad allora prego Dio di proteggerti. Lo sai, ti amo
piccola, ti amo, tesoro ti amo, amore ti amo, ti amo.” (I, LOVE YOU)
Federico Bartolo
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